«Cerchiamo l’arma nel bosco maledetto». Dopo 29 anni l’indagine torna al Sass Pinì

L’altro fronte - A formulare la proposta, per ora ufficiosamente, il legale della famiglia. «Le aree dove fu ritrovata sono ancora individuabili»

– Indagini difensive al Sass Pinì: tornare in quel bosco maledetto per cercare l’arma del delitto.
È, legale della famiglia di da quasi tre anni, che ha sempre operato al fianco della procura generale di Milano per cercare la verità sull’assassinio della giovane scout e militante di Comunione e Liberazione, ad aver ufficiosamente avanzato la proposta.
E incassando, secondo indiscrezioni, l’apprezzamento della procura generale di Milano. «Si tratta di indagini difensive – spiega Pizzi –

di una richiesta che a breve andremo a ratificare». Lidia fu uccisa il 5 gennaio 1987, il suo cadavere fu trovato il 7 gennaio dello stesso anno proprio al limitare dei boschi del Sass Pinì di Cittiglio.
Il 15 febbraio scorso la procura generale sequestrò il parco Mantegazza di Masnago proprio per cercare l’arma del delitto. Secondo una testimone, infatti, nei giorni successivi l’omicidio di Lidia Binda raggiunse il parco in questione e qui buttò un sacchetto di carta che aveva ordinato all’amica che lo aveva accompagnato di non toccare. Il parco è stato passato al setaccio dai militari dell’esercito guidati da un archeologo forense. Sono state ritrovate in tutto otto lame e un falcetto che sono adesso oggetto d’indagine scientifica (i termini della perizia saranno probabilmente prorogati a breve).
Secondo Pizzi “è necessario fare lo stesso anche al Sass Pinì, il luogo dove Lidia fu ritrovata – spiega il legale – Sono passati 29 anni, è vero, ma abbiamo eseguito una comparazione morfologica. La zona in parte è stata modificata dal passaggio di una strada provinciale, ma il luogo dove Lidia fu trovata e tutta l’area circostante sono ancora perfettamente individuabili. Eseguire una ricerca è possibile».
Anche perché è vero che l’arma del delitto, una sorta di piccolo stiletto o coltellino, non fu mai trovata e fu cercata all’epoca dell’omicidio anche al Sass Pinì. Ma è altrettanto vero che all’epoca gli inquirenti non disponevano delle tecnologie odierne.
Banalmente non furono usati metal detector per la ricerca dell’arma che uccise Lidia. Il Sass Pinì potrebbe dunque divenire teatro di ricerche identiche a quelle messe in campo al parco Mantegazza.
«Percorreremo ogni strada possibile per arrivare alla verità sulla morte di Lidia – conclude Pizzi – La famiglia chiede questo: conoscere la verità su quanto accadde a Lidia».