Chi scrisse la lettera “In morte di un’amica”? Oggi in aula l’avvocato del presunto autore

Piergiorgio Vittorini dovrà violare il segreto professionale o convincere il suo assistito a sciogliere il legame

Omicidio Macchi: oggi in aula parlerà , il così detto “teste 101”, che potrebbe rappresentare l’asso nella manica della difesa. Vittorini è il legale che durante la prima udienza del processo che vede imputato , 50 anni, di Brebbia, dell’omicidio dell’ex compagna di liceo , assassinata a soli 20 anni con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, con una missiva aveva informato la corte di rappresentare una persona, non specificando se uomo o donna, che asseriva di essere il vero autore dell’anonimo “In morte di un’amica” recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987, giorno delle esequie di Lidia. Per l’accusa quella lettera fu scritta dall’assassino o da chi del delitto sapeva molto. Sempre per l’accusa quella lettera fu scritta 30 anni fa da Binda, arrestato il 15 gennaio 2016, 29 anni dopo il delitto.

Vittorini durante la prima udienza aveva messo sul piatto una prova a discarico non indifferente: quella missiva non era affatto stata scritta dall’imputato ma dalla persona che lui rappresentava. Persona che all’epoca del delitto era lontanissima da Varese e Cittiglio, dove il cadavere di Lidia fu trovato il 7 gennaio 1987, e che non si era fatta avanti prima per paura in base all’assioma: autore di “In morte di un’amica” uguale omicida. La stessa persona aveva creduto del resto che Binda sarebbe stato presto scarcerato.

Arrivati al processo si era fatta avanti secondo coscienza. Vittorini si era detto del resto disponibile a testimoniare subito, lì in quella prima seduta d’Assise. Fermo restando che se il suo assistito non l’avesse sciolto dal vincolo professionale non avrebbe potuto rivelare l’identità del presunto autore di In morte di un’amica.

Fu la Corte a decidere di sentire il teste “101”, così Vittorini fu ribattezzato, non subito ma secondo l’ordine già stabilito. Vittorini era già stato chiamato in occasione dell’udienza di venerdì scorso. Il legale era però impegnato in un importante processo e ha informato la Corte d’Assise di non poter essere presente. Oggi salirà sul banco dei testimoni. Affinchè la sua testimonianza abbia valore, il legale dovrà o violare il vincolo professionale o convincere il proprio assistito a sciogliere questo stesso legame. Altrimenti una testimonianza “de relato”, senza che vi sia il nome del presunto autore dell’anonimo da poter ascoltare direttamente e ovviamente sottoporre a tutte le perizie del caso al fine di testarne la genuinità, avrà un peso decisamente limitato in sede processuale.

L’attesa è tutta per lui, dunque. Vittorini spiegò in occasione della prima udienza che la persona da lui rappresentata non si era fatta avanti prima per timore.

Il misterioso assistito si sarebbe infine deciso a farsi avanti spinto dal senso di responsabilità nei confronti di Binda «non credeva che l’avrebbero trattenuto a lungo in carcere».