«E ora l’assassino faccia del bene…»

Omicidio Macchi - La frase di don Baroncini, al funerale di Lidia Macchi, riportata in udienza dalla superteste Bianchi

Ai funerali di Lidia, nella basilica di San Vittore, don , guida spirituale di Gioventù Studentesca a Varese nel 1987, conclude l’omelia con la frase: «E adesso l’assassino di Lidia passi la vita a fare del bene». Patrizia Bianchi, la supertestimone del processo per l’omicidio di , che vede imputato , 50 anni di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia ed ex amico del cuore di Bianchi, riporta in aula, davanti alla Corte d’Assise presieduta da quella frase che «mi colpì e mi stranì. Al funerale di Lidia eravamo tutti presenti. Mi chiesi: perché don Fabio ha pronunciato queste parole? Parole che mi portarono a pensare: forse sa chi è l’assassino? Oppure sono un messaggio per l’assassino?».

Bianchi, ascoltata per otto ore, dopo aver precisato che Binda fu amico fondamentale per la sua formazione negli anni del liceo e nei primi anni dell’università, e aver sottolineato quanto per lei la decisione di comunicare agli inquirenti i suoi sospetti riaffiorati dopo 30 anni su quell’amico al quale era così legata sia stata «uno strappo doloroso. E’ stato ed è ancora pesantissimo per me affrontare questo ma ho deciso secondo coscienza Lidia è stata uccisa e io da cittadina e cristiana avevo il dovere di comunicare queste informazioni» torna su questo particolare durante una testimonianza lucida durata 8 ore.

E da Baroncini (sentito in incidente probatorio dopo l’arresto di Binda eseguito il 15 gennaio 2016) torna all’amico di un tempo. Ci torna a Binda, Bianchi, ripercorrendo gli appunti segnati 30 anni fa sulle pagine delle quattro agende dell’epoca (Lidia fu assassinata con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987) dove la donna, puntualmente, segnava frasi, poesie, pensieri contrassegnando gli incontri con Binda molto frequenti con due stelline. Ed è da una di queste pagine che,

su domanda della pm , legge una frase. Un ricordo relativo al periodo immediatamente successivo l’omicidio della giovane studentessa di 20 anni ritrovata cadavere il 7 gennaio 1987 al limitare dei boschi del Sass Pinì. «Lidia era morta da poco. Dopo una funzione nella basilica di San Vittore , Stefano mi ha detto: «Tu non sai cosa sono stato capace di fare». La frase mi lasciò come sospesa. Ma era tale la mia ammirazione verso la cultura, l’intelligenza di Stefano, il suo modo di guardare la realtà, che respinsi il pensiero che potesse aver fatto qualcosa di così terribile. E risposi: «Potresti anche avere ucciso tua madre, ma io resterò sempre tua amica».

Bianchi poi ha aggiunto che Stefano le aveva confidato di essersi «confessato con un prete che gli aveva detto che per quanto era di sua responsabilità lo perdonava». Cosa ha confessato Binda? All’epoca il ragazzo si avviava sulla strada (che riuscirà ad abbandonare soltanto nel 2009) della tossicodipendenza. Si riferiva alla droga dicendo «tu non sai cosa sono stato capace di fare»? E chi era quel prete al quale Binda aveva affidato qualcosa di grandissimo nel segreto della confessione? Bianchi aggiunge un altro dettaglio. «In un’occasione – ha spiegato la teste che ha ridato impulso alle indagini legando Binda all’anonimo In morte di un’amica, recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987 giorno delle esequie di Lidia che per gli inquirenti ha scritto l’assassino – eravamo a Gavirate. Seduti su una panchina. Stefano mi chiese se di don Fabio Baroncini ci si potesse fidare. Perché proprio a lui doveva raccontare qualcosa di “pesante”. Disse esattamente pesante».