«I cantoni? Discorso da bar»

L’intervista - Parla Gerardo Larghi, leader della CISL dei Laghi: aree vaste, Ospedali, Comune di Varese

– «I Cantoni dell’Insubria? Discorsi da bar. Le aree vaste? Vanno disegnate secondo buon senso e in un confronto serrato col governo. L’ospedale di Luino? Da difendere». Non le manda a dire , segretario generale della CISL dei Laghi, che analizza alcuni dei temi di attualità più scottanti e controversi. Lo fa, come sempre, senza peli sulla lingua. E da un osservatorio privilegiato. Quello di leader dell’unico sindacato che ha superato già da tempo i confini provinciali, fondendo le segreterie di Varese e di Como. E quello di docente di Lettere, cattolico e lariano, capace di tradurre in azione sindacale gli echi manzoniani di più stupefacente attualità.

E ci mancherebbe. Io penso che queste decisioni non possono scaturire da spinte emotive né da suggestioni ideologiche. Il presidente Maroni, quindici giorni fa, offeso con i varesini per i pochi voti ottenuti, annunciava che il nuovo Cantone dell’Insubria sarebbe stato composto da Varese, Como e Lecco, con Como capitale. Un’assurdità. E lo dico da comasco. Primo, perché non ha senso ridurre un tema di tale portata a una battuta da bar. Secondo, perché l’idea stessa di cantone è del tutto infondata, visto che mancano i presupposti minimi che ci permettano entità di quel genere. Uno su tutti, l’autonomia finanziaria. Dopodiché, a due settimane dalla storia dei Cantoni, Maroni ha cambiato versione: ipotizzando lo spacchettamento della Provincia. Insomma, ho l’impressione che si brancoli nel buio.

Qualunque riforma degna di questo nome deve ruotare su un unico perno: la unitarietà delle decisioni. Tutti i livelli istituzionali devono remare nella stessa direzione, senza fughe in avanti e senza sussulti ideologici. Io contesto la teoria dei Cantoni proprio perché non mi sembra che affondi le radici in un approccio razionale. Per quanto possa affascinarmi un’idea, devo fare i conti con la realtà. E la nostra realtà è quella di una Regione che non può

prescindere dalle decisioni di Roma. Ci piaccia o no, la Lombardia non ha un livello di autonomia tale da potersi muovere per conto suo. Perciò non sarà possibile costruire aree vaste aggregate ed efficienti fino a quando non conosceremo le intenzioni del governo centrale sugli enti statali di riferimento. Mi chiedo: quante saranno le Prefetture? E le Questure? E le Camere di Commercio? Se noi non rispondiamo a queste domande, rischiamo di architettare nuove entità intriganti almeno quanto ingestibili. E a rimetterci, come al solito, sarebbero i cittadini, che perderebbero i propri punti di riferimento. E guardi che, in parte, gli effetti di decisioni mal gestite si vedono già.

Pensate alla Sanità. La riforma varata da Regione Lombardia contiene elementi che condivido, ma che faticano a trovare declinazione sul territorio, specie nelle strutture minori o più periferiche. Ma a lei sembra possibile che, a più di 6 mesi dall’entrata in vigore della riforma, non si sappia ancora se gli ospedali di Luino, Tradate e Menaggio vadano considerati veri e propri ospedali, oppure presidi, o magari PREST. Possibile che ci si chieda ancora se personale e prestazioni siano all’altezza delle esigenze?

Ha ragione, ma chi prende le decisioni non può trascurare le peculiarità dei territori di cui si dibatte. Luino, ad esempio, ha due caratteristiche peculiari. Primo, è attaccata alla Svizzera: ai lavoratori bastano pochi chilometri per puntare a salari più alti. Secondo, in quella zona, rimasta a corto di imprese, l’ospedale resta la realtà occupazionale più importante e, ad oggi, insostituibile. Detto questo, a mio avviso, oggi abbiamo una priorità: evitare che l’ospedale venga indebolito in vista di future soluzioni alternative e innovative. Ho visto troppe volte delle riforme che, per prima cosa, smantellano l’esistente senza tenere conto dei tempi e degli ostacoli che i progetti (anche i più nobili) comportano.

In effetti, lo è. Oggi il sindacato non rappresenta solo i lavoratori. Rappresenta le famiglie, la società tutta. Una volta ci limitavamo a fare i contratti. Oggi, su un tema come la sanità, siamo chiamati a un passo in più. Guardi a ciò che, come Cisl dei Laghi e come sindacato pensionati, stiamo facendo in sinergia con la Fondazione Molina di Varese e con altre RSA nel comasco su un tema come quello delle assistenti familiari. È un impegno che ci vede attivi su diversi piani. Formiamo le badanti, le tuteliamo seguendone l’assunzione, il salario e il versamento dei contributi. Nel contempo, monitoriamo, attraverso nostri delegati, il loro lavoro quotidiano, Facendo da garantendo, nei confronti delle famiglie, circa la professionalità delle operatrici. Un modo per dire che la nostra attività è diventata dinamica. Dobbiamo adeguarci a una realtà che cambia in continuazione e che richiede una nostra presenza in quella frastagliata terra di mezzo che si situa tra la tradizionale contrattazione e la quotidianità dei servizi.

Il segnale degli elettori mi pare evidente: hanno chiesto un cambiamento. Ora credo che sia necessario che Varese risponda a una domanda fondamentale: cosa vuole essere? E soprattutto: cosa vuole diventare? È necessario, per me, che la città si caratterizzi e individui la propria stella polare in termini di economia e di produttività. Per quanto ci riguarda, l’attenzione va posta sui temi del Sociale e del Lavoro. E noi della Cisl dei Laghi chiediamo di essere riconosciuti come attore protagonista di questi temi. Dopodiché, approfitto di questo spazio per chiedere alla nuova Amministrazione che intenzioni abbia circa il patrimonio immobiliare del Comune. Mi chiedo come possa diventare per rilanciare l’economia. Lo rimettiamo a norma? Facciamo investimenti sull’edilizia innovativa e sulla green economy? Sono temi, a mio avviso, dirimenti. E il fatto che la giunta sia composta in prevalenza da giovani mi fa ben sperare.