Il Csm contro Agostino Abate. «Favorì il killer di Lidia Macchi»

Aperta un’azione disciplinare nei confronti dell’ex pm di Varese, che seguì inizialmente l’inchiesta

Per il Consiglio Superiore della Magistratura il pubblico ministero Agostino Abate favorì colposamente l’assassino di Lidia Macchi. L’accusa è pesantissima: «con una serie di comportamenti improntati a grave violazione di legge e inescusabile negligenza, ha arrecato ingiusto vantaggio all’ignoto autore del reato in questione, affievolendone la possibilità di identificazione».

Ed è quella di cui dovrà difendersi il 16 gennaio prossimo davanti alla Sezione disciplinare del Csm il pm Agostino Abate, che per 26 anni è stato titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi,la studentessa di Varese vicina a Comunione e Liberazione massacrata con 29 coltellate nel gennaio 1987. Solo l’anno scorso c’è stata una svolta nelle indagini, avocate nel 2013 dalla Procura generale di Milano, con l’arresto il 15 gennaio 2016 di Stefano Binda, rinviato a giudizio davanti alla Corte d’Assise

di Varese (il processo è fissato per il 12 aprile) con l’accusa di aver ucciso la giovane, sua ex compagna di liceo. Una decisione che ha smosso una stasi di un «lunghissimo periodo» che la procura generale della Cassazione, nel lungo atto di incolpazione a carico di Abate, 59 anni, di Cava dei Tirreni, imputa a chiare lettere al magistrato, che un anno fa è già stato sanzionato dal Csm (con il taglio di due anni della sua anzianità e il trasferimento d’ufficio al tribunale di Como) per aver omesso o comunque ritardato il compimento di atti di un’altra inchiesta delicata, quella sulla morte di Giuseppe Uva.

Nell’ampio arco di tempo in cui è stato titolare dell’inchiesta sull’omicidio della studentessa di Varese Abate- secondo l’accusa- «ha omesso qualsivoglia iscrizione nel registro degli indagati» nonostante alcune persone fossero state «destinatarie di comunicazioni giudiziarie e sottoposte a prelievo ed accertamenti scientifici sul Dna»; né ha esercitato «qualsivoglia vigilanza dei reperti» sequestrati, «concorrendo alla loro indebita distruzione», nonostante fossero di «fondamentale importanza per l’identificazione dei profili genetici dell’autore del reato». Se gli indumenti che la ragazza indossava il giorno dell’omicidio sono stati distrutti (dopo 10 anni di deposito presso l’ufficio gip di Varese), sono del tutto spariti 13 vetrini che contenevano liquido seminale trovato sul corpo di Lidia e frammenti di tessuto dei suoi pantaloni: erano custoditi in una scatola trovata in seguito aperta e vuota; e su questa sparizione non ci sarebbe stato nessun accertamento. Mentre altri reperti sarebbero stati custoditi dal pm «in modo del tutto anomalo» nella cassaforte del suo ufficio. Peraltro Abate avrebbe trasmesso con un ritardo di cinque mesi il fascicolo alla procura generale di Milano, che glielo aveva chiesto, e «solo dopo ripetuti solleciti» e la presentazione dell’istanza di avocazione delle indagini da parte dei familiari della ragazza. Quello sul caso Macchi è il procedimento principale che il 16 vedrà Abate nella veste di «incolpato»: a suo carico ci sono altri quattro giudizi disciplinari che saranno celebrati tutti nella stessa giornata. Comportamenti scorretti nei confronti di una collega e del capo della procura di Varese, adozione di provvedimenti privi di motivazione, ritardo nel compimento di atti e gravi violazioni di legge determinate da «ignoranza e negligenza inescusabile», sono le altre accuse di cui deve rispondere. Lo farà da solo, visto che non ha nominato un difensore nè accettato un legale d’ufficio.