Il Family Factor saluta il quartiere

Quasi trent’anni di storia, iniziato con il nome di “Alice”, ancora oggi usato per indicare il negozio

Bye Bye Family Factor. Lo store di abbigliamento di Avigno di via Vellone 42 fa partire «una clamorosa vendita per dire grazie ai clienti che in questi ultimi 28 anni non hanno fatto mancare la loro fiducia». Stiamo parlando di un «negozio storico di quartiere», che negli anni ha saputo affermarsi come un vero e proprio punto di riferimento per l’abbigliamento dell’uomo e della donna.

Ieri era il secondo giorno di vendita straordinaria. Il negozio, in alcuni momenti, è stato preso d’assalto dai clienti, con code alle casse. Gli sconti fanno gola. Ma nel negozio non si respira l’aria di festa che accompagna i saldi. È più la tristezza e la preoccupazione per i cinque dipendenti dello store, che probabilmente rimarranno senza lavoro.

I cartelloni comparsi sulle vetrine imputano la causa della vendita straordinaria a uno sfratto. La catena Family Factor ha già chiuso lo store di Desenzano. Mentre resistono, nella nostra zona, i Family Factor di Tradate, di Borgomanero e di Sesto San Giovanni.

Lo store di Avigno negli ultimi anni ha visto avvicendarsi più gestioni. Trentotto anni fa si chiamava «Alice», tanto che alcuni lo identificano ancora oggi con quel nome. Successivamente è diventato «Preca Moda» e poi «Family Factor».

La crisi iniziata nel 2008 ha sicuramente provocato una contrattura del fatturato, ma un nucleo forte di clientela è rimasta fedele al negozio, legata con affetto ai commessi e interessata alla praticità e alla vestibilità dei marchi di abbigliamento venduti.

Ad infliggere un duro colpo all’attività – secondo i commessi di Avigno – sono state le chiusure delle strade in concomitanza con le partite di calcio allo stadio. «Quando le strade sono state chiuse al sabato noi siamo rimasti a girarci i pollici in negozio, non veniva nessuno – raccontano i commessi – Bisogna considerare che il sabato è il giorno in cui il negozio fa il massimo del suo fatturato. Ma, a causa delle chiusure, la gente scappava via per paura di non riuscire a rincasare».

I commessi raccontano di aver fatto anche una petizione – sottoscritta anche dalle altre attività economiche della zona – che è stata portata in questura proprio per denunciare i problemi causati dalla chiusura del traffico. «La nostra voce è rimasta inascoltata, per questo adesso siamo arrabbiati. I sabati di lavoro persi sono stati la premessa della situazione che viviamo oggi. Non possiamo dire che sia stata una doccia fredda – dicono i commessi – Adesso ci troviamo a vendere le merci rimaste nel negozio e non sappiamo cosa ne sarà del nostro futuro».

E così capita che chi compra, recandosi in cassa, senta un groppo alla gola e che, incontrando lo sguardo delle cassiere, si imbatta in occhi lucidi. Alcuni dipendenti hanno famiglie monoreddito sulle spalle, perdere il lavoro pare un incubo. E c’è chi ancora spera che, da qui al 30 aprile, si riesca a fare qualcosa per salvare il negozio e cinque posti di lavoro.