«Il John Lennon di noi lombardi». Varese saluta Nanni Svampa

L’ultimo saluto al protagonista di un’epoca domani alle 14.30 a Porto Valtravaglia

Varese dice addio a Nanni Svampa, maestro della cultura popolare dalla fantasia emozionante, goliardia penetrante e sarcasmo acuto.

Un ultimo saluto che si concretizzerà domani, martedì 29 agosto, in forma laica con il corteo funebre prenderà il via dalla casa dell’artista, attorno alle 14.30 a Porto Valtravaglia, dove il cantautore milanese, morto sabato sera all’Ospedale di Circolo di Varese, ha passato i suoi ultimi anni.

Era nato in casa nel 1938, a porta Venezia, da genitori che arrivavano dalle sponde opposte del lago maggiore. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale visse dai due ai nove anni nell’alto varesotto, crescendo a Sangiano tra campi, casa, e osteria. Ed è proprio questo luogo che segnerà parte della sua formazione insieme allo spirito lacustre: uno humor un po’ folle, lo stesso che ci ha dato Fo, Cochi e Renato, Boldi, Salvi e Iacchetti.

Papà Svampa che con Dario Fo intratteneva con barzellette e canzoni sul treno degli sfollati, lo avrebbe voluto bancario, ma la laurea alla Bocconi non la sfruttò mai. E così dalla metà alla fine degli anni Sessanta, diede vita con Gianni Magni, Lino Patruno e Roberto Brivio alla band I Gufi, il quartetto con cui aveva di fatto fondato il cabaret italiano al Derby di Milano.

Bucarono anche lo schermo televisivo con le loro chitarre, tempi comici perfetti, umorismo e satira sociale e repertorio di canzoni popolari italiane.

In quegli anni incontrò a Parigi George Brassens, poeta della canzone e umorista del quale divenne traduttore e interprete in milanese: trasportandone lo spirito dalla Rive Gauche al Naviglio.

Il mastodontico lavoro de La Milanesa ci permette di ritrovare ancora oggi condensato in 12 dischi, uno “zibaldone” della canzone tradizionale lombarda, mettendo insieme canti di guerra, rime da osteria, battute licenziose, musiche folk.

Tanti in queste ore lo ricordano e lo rimpiangono come l’incredulo Enzo Iacchetti.

«L’ho visto un mese fa a Porto Valtravaglia quando sono andato a trovarlo», racconta il comico varesino.

«L’ho visto bene ed aveva in mente uno spettacolo nuovo da fare con giovani cabarettisti».

Nonostante avesse passato «momenti brutti aveva ancora tanta voglia di fare e mi aveva dato tanto incoraggiamento. Io a 65 anni mi sento vecchio, mentre il maestro mi ha “gasato” ancora una volta. Se aveva ancora voglia lui a quasi 80 anni, io mi sarei dovuto vergognare a dire che non ne avevo».

Nanni per Enzo è stato «prima un idolo e poi un amico. Mi ha insegnato a lavorare a stare sul palco».

Nel tempo è diventato «un amico coi cui confidarsi e parlare di problemi, amici e famiglia. Era un rapporto di vera di stima reciproca. È stato il mio primo maestro».

Era il John Lennon de I Gufi.

«Li seguivo come fossero i Beatles e per me Svampa era come Lennon. Se non ci fossero stati loro, non farei il mestiere che faccio. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, parlarci, confrontarmi e collaborare con lui. Io andavo a vedere i suoi spettacoli e lui veniva a vedere i miei. La prima volta a casa sua riuscivo a dire nulla, mentre lui mi spiegava che gli sarebbe piaciuto fare cose scritte da comici del lago, collaborare con gruppi della zona perché si sentiva un po’ varesotto anche lui. Da lì è nata una grande amicizia».

Nel 1978, quando ancora non si conoscevano, il giovane Enzo scrisse a Svampa tre lettere contenenti altrettanti brani.

«Componevo canzoni anche in dialetto, ma non sapevo se potessero funzionare. Le cantavo con amici in un’osteria di Maccagno e vedevo che piacevano. Allora gli ho chiesto: “Secondo te uno che scrive così può pensare di farcela o deve smettere?”. Non rispose mai», ma le conservò per anni.

«Ahimè, non le ha mai cantate nonostante le avessi scritte proprio per lui, per il suo modo speciale di cantare il dialetto Milanese. Era uno degli ultimi che lo faceva in modo tanto preciso. Conosceva bene la provenienza delle parole e quali derivassero dal francese».

Una preparazione fondamentale per affrontare il «periodo brassensriano che lo ha portato e realizzare un lavoro intellettuale straordinario».