«Insussistenza di atti lesivi». La Procura impugna la sentenza

La Procura generale di Milano riapre il caso dopo l’assoluzione dalla Corte di assise di Varese

La Procura generale di Milano ha impugnato la sentenza con la quale i giudici della Corte d’assise di Varese avevano assolto due carabinieri e sei poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale ai danni di Giuseppe Uva perché morto la mattina del 14 giugno 2008 dopo essere stato nella caserma dei carabinieri di Varese. I giudici, assolvendo i componenti delle forze dell’ordine, avevano concluso per «l’insussistenza di atti diretti a percuotere o a ledere» l’operaio gruista portato in caserma perché con un amico, entrambi ubriachi, stavano spostando delle transenne per strada.

Giuseppe Uva morì il 14 giugno 2008 all’ospedale di Circolo di Varese dopo essere stato fermato in via Dandolo completamente ubriaco mentre, con l’amico Alberto Bigioggero, buttava transenne in mezzo alla strada. Fu sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio in conseguenza del suo stato di assoluta agitazione.

Per la sua morte furono inizialmente indagati i medici che lo ebbero in cura in quelle ore. Lucia Uva, sorella di Giuseppe, denunciò invece un’altra storia: il fratello morì in conseguenza delle percosse che, a parere della donna, avrebbe subito da due carabinieri e sei poliziotti durante i circa 15 minuti in cui rimase nella caserma carabinieri di via Saffi a Varese.

Otto imputati accusati (con imputazione coatta del gup Giuseppe Battarino) anche di omicidio preterintenzionale e poi assolti con formula piena dalla corte d’assise del tribunale di Varese.

Assolti, come scrisse il giudice estensore, perché di quelle botte ipotizzate dalla sorella non è mai stata trovata traccia. Scriveva ancora il giudice estensore Vito Piglionica, presidente della corte d’assise, nelle 160 pagine a motivazione della sentenza del caso Uva: «la perizia medico legale e l’audizione dei consulenti tecnici di ufficio e delle parti consentono di escludere in maniera assoluta la sussistenza di qualsivoglia lesione che abbia determinato o contribuito a determinare il decesso di Giuseppe Uva: il fattore stressogeno,

da taluni dei consulenti ritenuto causale o concausale di uno stress psicofisico, non può esser attribuito alla condotta degli imputati». Nessuna prova di un pestaggio significa nessun pestaggio. Le motivazioni del giudice, dunque, furono assolutamente lineari. Così come lo furono circa l’accusa di sequestro di persona: la stessa procuratrice di Varese Daniela Borgonovo in sede di requisitoria disse che lei stessa avrebbe agito così. Non solo. Nelle pagine delle motivazioni dell’assoluzione piena di carabinieri e poliziotti il giudice individuava anche i reati che Uva quella notte avrebbe commesso: resistenza a pubblico ufficiale, rifiuto di fornire le proprie generalità, disturbo della quiete pubblica, tra gli altri. E infine , secondo le motivazioni, «gli imputati non avevano la coscienza e la volontà di percuotere o di ledere Giuseppe Uva».

La notizia dell’impugnazione è stata confermata dai legali degli imputati.