Khachia parla: «Al telefono solo fanfaronate»

Dopo l’arresto - Ieri davanti al Gip il ventitreenne varesino accusato di mietere proseliti per la jihad islamica

– «Solo fanfaronate al telefono”. Così , il giovane marocchino di 23 anni arrestato giovedì scorso a Venegono Superiore nell’abitazione dell’amico del quale era ospite. Khachia è il fratello di Oussama, il giovane saldatore espulso per ordine diretto del Viminale nel gennaio 2015 per aver espresso idee di sostegno alla jihad e poi morto in zona di guerra nel dicembre dello stesso anno come foreign fighter. Per gli inquirenti è stata la morte del fratello ad accelerare la radicalizzazione di Khachia che, in quelle “fanfaronate” intercettate dagli uomini della Digos di Varese, meditava di organizzare un attentato in Questura per vendicare il fratello «se soltanto qualcuno mi avesse preparato…» e pianificava con l’amico , il pugile-operaio a sua volta arrestato insieme alla moglie, , nell’ambito della medesima operazione antiterrorismo che ha portato in carcere Khachia con l’accusa di mietere proseliti: «Gli cambiano la testa a questi ragazzi».

Davanti al gip di Milano ieri il ventitreenne disoccupato che sognava un futuro da pizzaiolo prima della presunta conversione che risiede con la famiglia a Brunello avrebbe mostrato tutta un’altra verve. Una mitezza attraverso la quale sminuire le intercettazioni a suo carico. «È vero al telefono ho detto un sacco di fanfaronate, ho fatto discorsi esagerati e iperbolici. Ma in realtà non avevo intenzione di fare nulla di male». L’uomo, difeso dall’avvocato, ha messo quelle dichiarazioni sullo stesso piano di una sbruffonata.

Secondo il suo legale, l’unica colpa di Khachia è stata quella di «straparlare al telefono», anche se il marocchino «non è un pericolo per la società e non ha commesso nessun reato». Per questo Bauccio si è definito «sconcertato» per un arresto che a suo giudizio non trova giustificazioni. «Abderrhmane è un ragazzo assolutamente normale ed estraneo al mondo dell’Isis e del terrorismo, non aveva alcuna intenzione di martirizzarsi. Bisogna stare attenti a non processare fanfaronate dette al telefono». Khachia, sempre al telefono, aveva anche detto di avere agganci attraverso i quali ottenere il “permesso” di raggiungere le zone di guerra in Siria dove combattere, pronto a morire da “martire”. «Vedendo le immagini dei bambini martoriati volevo andare in Siria ad aiutare la popolazione e non per arruolarmi nell’esercito dell’Isis».

Moutaharrik, il pugile, ha invece dato questa al gip come motivazione per giustificare le intercettazioni a suo carico dove si dichiarava pronto a organizzare un attentato in Italia. A riferire la versione dell’arrestato è l’avvocato che difende anche la moglie e che ha già preannunciato la richiesta di scarcerazione: «Hanno due figli di due e quattro anni e non sanno dove si trovano i loro genitori. Il mio intento è tutelare i due bambini». E sulle accuse: «I miei assistiti hanno spiegato ai magistrati che sono cresciuti in Italia e non vorrebbero mai fare seriamente del male a nessuno». «I loro proclami vanno contestualizzati nel proposito di aiutare i civili innocenti martoriati dalla Siria e, in particolare, i minori». È sfuggito alla cattura, invece, , partito con la moglie per la Siria, i due sono entrambi latitanti: l’uomo è considerato il cattivo maestro sia di Khachia che del pugile operaio.