La Cassazione: Binda resti in carcere. E i legali preparano un nuovo ricorso

Caso Macchi - Rigettata la richiesta dei difensori dell’uomo arrestato con l’accusa d’aver stuprato e ucciso Lidia. Ieri la decisione

Ricorso rigettato: (nella foto a lato, in alto) resta in carcere. La decisione dei giudici della Corte di Cassazione è arrivata ieri. I giudici ermellinati hanno accolto la richiesta del sostituto pg della Cassazione che l’altro ieri, durante un’udienza a tratti dura e durata poco più di un’ora, ha sostenuto: «L’ordinanza offre una motivazione all’esigenza di mantenere la custodia cautelare in carcere per Binda».
Binda, 49 anni di Brebbia, era stato arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa

di aver stuprato e ucciso, la bella studentessa ventenne militante di Comunione e Liberazione, ex compagna di liceo e amica di Binda, il 5 gennaio 1987. Dopo l’arresto i legali del brebbiese, che si è sempre dichiarato innocente, hanno preferito bypassare il Tribunale del Riesame e ricorrere direttamente in Cassazione. La Massima Corte non entra nel merito dell’ordinanza, non valuta insomma la sussistenza o l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La Cassazione lavora in punta di diritto e valuta la sussistenza o meno dei tre punti che determinano l’esigenza di una custodia cautelare in carcere: pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove.
Per il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda quella in carcere è «l’unica misura cautelare adeguata alla salvaguardia delle esigenze di prevenzione speciale, nonché proporzionata alla gravità del fatto», come ha scritto nell’opposizione al ricorso poi discussa da Viola. E la Massima Corte le ha dato ragione. «Siamo soddisfatti di questa decisione – commenta, avvocato della famiglia Macchi – che conferma la solidità dei gravi indizi di colpevolezza riscontrati».

«Non conosciamo nel dettaglio le motivazioni del rigetto – ha commentatocodifensore di Binda con- Suppongo che i giudici abbiano ritenuto sufficienti le motivazioni contenute nell’ordinanza, che noi continuiamo a giudicare di sola apparenza». A Binda la decisione non è ancora stata riferita ufficialmente: «Lo incontreremo in settimana – dice Martelli – e ci confronteremo con lui».
Il prossimo passo sarà quello di «impugnare la proroga di tre mesi della misura di custodia cautelare a carico del nostro assistito». Una sorta di continuo rintuzzarsi tra accusa e difesa e «intanto Binda resta in carcere», ha spiegato Martelli. A pesare sulla decisione dei giudici potrebbe essere stato uno in particolare dei tre punti sopra citati, ovvero il rischio di inquinamento delle prove.
Il gip scrive nell’ordinanza che Binda dopo aver saputo di essere stato indagato, nell’agosto scorso, ha contattato i vecchi amici di Cl, tra l’altro tutti ascoltati in sede di indagine, cercando di avere informazioni sull’inchiesta. Binda, per il gip, avrebbe quindi l’opportunità e il carisma per condizionare i testi inquinando di conseguenza le prove.
I difensori sostengono invece che Binda incontrò quegli amici in una sorta di rimpatriata prima di essere indagato e che i contatti successivi avvennero perché già stabiliti durante quel ritrovo.

Una sorta di «ci sentiamo tra un paio di settimane» detto in tempi non sospetti che quando si concretizza, con Binda indagato, diventa sospetto. Lunedì intanto Carmen Manfredda sarà a Varese davanti al gip Giorgetti in sede di incidente probatorio.
Non saranno ascoltati testi ma sarà fatto il punto tecnico sugli accertamenti scientifici in corso dopo la riesumazione della salma di Lidia alla ricerca di tracce del Dna dell’assassino. In virtù dell’obiettivo che la perizia si prefigge probabilmente sarà nominato un genetista per lo screening del Dna.