«La cultura come progettualità»

Il professor Laforgia a ruota libera: «Non bastano le mostre, bisogna sviluppare progetti nei quartieri»

– «L’assessore alla cultura non parte da zero perché Varese ha una rete di associazioni che sono molto attive. Serve un tavolo che possa mettere in circolazione l’esistente e costruire forme di progettualità culturali nuove: la vera sfida è questa e inizia proprio ora».
Questo è il suggerimento di Enzo Laforgia, professore di storia e filosofia al liceo Cairoli e consigliere comunale di Progetto Concittadino, all’indomani della nomina di Roberto Cecchi ad assessore alla cultura.

Riprogettare la città significa non lasciare l’assessore alla cultura solo, ma farlo lavorare con altre figure della giunta che concorrano tutte insieme a rendere più vivibile e fruibile la città, “cucendo” insieme le diverse realtà esistenti. Mi riferisco, per fare qualche esempio, a Filmstudio90, UniversAuser, le scuole, le attività nei quartieri, l’Apollonio, Convergenze, gli spettacoli delle diverse scuole di teatro. E ancora: l’università dell’Insubria, Villa Panza, e via di seguito.

Vero: progettare la cultura a Varese significa allargare un po’ lo sguardo. Non si può parlarne senza immaginarla all’interno del paesaggio, rivalutando luoghi nevralgici come il Sacro Monte. Non si può pensare alla cultura se non si ripensa alla mobilità. Non si può definire una azione culturale senza considerare i musei. Per esempio: il castello di Masnago e i musei civici andrebbero promossi e potenziati perché potrebbero avere un numero di presenze superiori. Per far questo, a mio parere, servirebbe una visione progettuale nella quale tutti gli assessori superino il recinto delle proprie competenze e si mettano a lavorare insieme.

Fare cultura non significa solo fare grandi mostre, portare un prodotto da un posto all’altro, ma sviluppare progetti culturali sul territorio. Penso alle micro realtà dei quartieri. Mi pare sia un dato di fatto che le iniziative che hanno più seguito sono quelle promosse dalle Castellanze. Mi riferisco, per esempio, ai diversi incontri organizzati dai circoli, perché cultura significa coinvolgere.

Promozione, crescita, educazione alla cittadinanza, formazione, qualità della vita, consapevolezza di essere parte di un tutto.

Sarebbe bello che a Varese si cominciasse a pensare a una mostra sulla storia dell’industria del territorio. Si potrebbe recuperare tutto ciò che ha contribuito a far sviluppare Varese, ripensando nello stesso tempo al ruolo che l’industria dovrà assumere nel futuro. Importante, a questo scopo, è relazionarsi anche con realtà fuori dal comune. Mi riferisco alla Liuc e ai poli culturali di Gallarate e Castellanza, realtà con cui iniziare a fare rete, mettendo in circolo competenze e risorse artistiche.

Penso a ciò che è stato abbandonato, come Amor di Libro. Ricordiamoci che a Varese abbiamo iniziative di richiamo internazionale come il Premio Chiara e il Premio Morselli. Fino ad ora tutte queste realtà hanno lavorato separatamente, senza una visione di insieme.

Qui sta la sfida della politica. Vincere le elezioni è stato un successo enorme, ma adesso inizia la parte più difficile. Bisogna ricucire tutte le esperienze nate dal territorio in una visione nuova. Mi viene in mente un contenitore in cui ci deve essere tutto, dal Sacro Monte fino alle iniziative nei quartieri.