“…La morte avrà i tuoi occhi”. In aula il fil rouge delle agende

Nuova udienza ieri nel processo contro Stefano Binda, accusato dell’omicidio di Lidia Macchi. Per i pm la poesia di Pavese trovata nella borsetta di Lidia potrebbe collegare la vittima a Binda e a Patrizia Bianchi

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. E’ la struggente poesia di Cesare Pavese che racconta di un amore potente e impossibile il filo rosso tra Lidia Macchi, Stefano Binda e Patrizia Bianchi. E ieri è stato messo in evidenza il simbolismo che, come una sorta di firma attribuita a Binda, legava i tre. Poesia che fu trovata, copiata e glossata da Lidia, nella borsa che la giovane studentessa varesina uccisa a 20 anni nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 con 29 coltellate portava quella notte maledetta.

Il corpo della bella scout, militante di Comunione e Liberazione, fu trovato il 7 gennaio del 1987 al limitare dei boschi del Sass Pinì a Cittiglio. Per 48 ore tutte le forze di polizia disponibili, tutti gli amici di Lidia, cercarono la ragazza uscita con la Fiat Panda bianca di famiglia per andare a trovare un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio dopo un incidente stradale, e mai più rincasata. Fu Giorgio Macchi, il padre della ragazza a dare l’allarme:

tardò nel formalizzare la denuncia sperando che la giovane figlia avesse ceduto a una fuga d’amore. Mentre un testimone (oggi deceduto) dichiarò 30 anni fa di aver visto l’auto di Lidia nel punto in cui fu trovato il cadavere già la mattina del 6 gennaio. Vide anche il teste un uomo, non meglio descritto, dallo sguardo strano che non appena lo scorse si allontanò. Il teste pensò a una coppietta, visto il luogo, e tirò dritto. Lidia dunque, che quella poesia la portava in borsa, è la vittima di un omicidio brutale.

Stefano Binda, ex compagno di liceo della ragazza, arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di aver assassinato Lidia, per la procura generale di Milano era «l’amore impossibile di Lidia», a cui lei fa riferimento nella lettera che fu trovata nella stessa borsa in cui era lo scritto di Pavese. Binda affascinante, colto e pervaso da misticismo religioso per l’accusa violentò Lidia e poi la uccise non riuscendo a “conciliare” il gesto violento e sessuale con il suo sentire religioso. Patrizia Bianchi è la super testimone che 27 anni dopo viene a sapere di quello scritto di Pavese ritrovato nella borsa dell’amica di un tempo e all’assistente capo Silvia Nanni spiega: «Quello era il cavallo di battaglia di Binda». Nanni ieri è stata ascoltata in aula davanti alla corte d’assise presieduta da Orazio Muscato. «Fu Bianchi – ha spiegato l’assistente capo – a dirci che quella poesia era stata spunto di discussione e quasi collante dell’amicizia tra lei e Binda». Bianchi era all’epoca innamorata di Binda dal quale, dopo un bacio «unico e irripetibile», come lei annota su un agenda con data dicembre 1988, viene respinta per sempre. E’ da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” che le indagini riprendono. In aula ieri sono entrate le agende: quelle di Binda, con le note frasi “Stefano è un barbaro assassino”, o la foto di Lidia Macchi attaccata sulla pagina dell’8 gennaio, giorno dopo il ritrovamento della ragazza. Ma anche quelle di Bianchi: l’allora ragazza aveva un’agenda “dedicata a Binda”, dove annotava poesie a lui dedicate. Frasi, conversazioni siglate che riportano frasi (precedenti all’omicidio) “tu non sai cosa sono capace di fare”. Più che un’amicizia una vera dedizione verso l’uomo che la respinse e c’è stata la sottolineatura della somiglianza fisica tra Lidia e Patrizia. Quasi che la prima fosse l’originale e la seconda una sorta di ripiego, così come è emerso dalle domande dell’accusa.

E c’erano quelle stelle che Binda disegnava al termine delle cartoline che aveva inviato a Patrizia 30 anni fa. E che sono state trovate al termine della lettera dedicata all’amore impossibile trovata nella borsa di Lidia e scritta da lei. Per l’accusa quelle stelle collegano il trio.