La verità si cerca tra unghie e capelli

Omicidio Macchi - Il team guidato dalla scienziata Cristina Cattaneo sta analizzando i resti meglio conservati

– Capelli, non uno ma centinaia. Unghie e denti. Isolati i primi reperti dopo la riesumazione delle spoglie di, la giovane studentessa varesina, uccisa con 29 coltellate a soli 20 anni il 5 gennaio del 1987. È un lavoro certosino quello portato avanti dal team guidato dall’anatomopatologa forense nell’istituto di medicina legale di Milano alla ricerca di tracce dell’assassino di Lidia. Gli scienziati si stanno concentrando su questi tre elementi: capelli, unghie e denti. Sono questi i resti meglio conservati delle spoglie della giovane.

I tessuti molli, dopo 29 anni di sepoltura in terra, che accelera i flussi di decomposizione, sono andati perduti per sempre. E sui capelli si sta concentrando il lavoro dei periti: non uno, ma centinaia di capelli. Quelli di Lidia, in primo luogo. L’analisi è una sorta di “mappatura” delle tracce per esclusione. Ogni capello viene analizzato per stabilire se appartenga alla ragazza o a un soggetto ignoto. È un lavoro che durerà mesi. Tutto ciò che non è riconducibile a Lidia, viene isolato. E analizzato. Ma insistono gravi difficoltà per i periti. In primo luogo: eventuali capelli o peli non appartenenti a Lidia dovranno rivelare una condizione fondamentale per l’estrazione del Dna. Dovranno, insomma, aver conservato per 29 anni il bulbo pilifero, unico accesso alla marcatura del codice genetico. Inoltre se del Dna di terzi potrà essere isolato bisognerà poterlo confrontare. , 49 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia, arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa di averla stuprata e uccisa, ha messo a disposizione il suo. Spontaneamente, ancora prima che, dopo l’arresto, da indagato, gli venisse prelevato ufficialmente. Ma il cadavere di Lidia fu lavato in sede di autopsia. Non solo: dopo il dissequestro della salma e la restituzione del corpo ai familiari per le esequie, non furono più osservate misure per così dire di salvaguardia del corpo stesso. Lidia non fu sepolta con i vestiti che indossava quando fu uccisa. Qualora un capello venisse isolato potrebbe appartenere a chiunque. A un familiare che su di lei si fosse chinato per un ultimo saluto, a chi si occupò del suo funerale, persino a chi lavò e stirò quei vestiti. Il punto sta proprio qui. Un capello, un pelo, potrebbero appartenere a chiunque. E se il Dna eventuale non combaciasse con quello di Binda, paradossalmente, non significherebbe nulla né per l’accusa né per la difesa. Perché eventuali prove potrebbero essere state annullate con la vestizione del corpo o inquinate (involontariamente) nel medesimo ambito. Unghie e denti non sarebbero ancora stati analizzati. Ma anche in questo caso, almeno che Lidia non abbia graffiato così forte il suo aggressore da conservarne l’epitelio per 29 anni, le speranze di poter isolare qualche traccia sono poche. E la traccia potrebbe non essere definitiva. Su una cosa gli esperti concordano: il solo elemento provante, al di là di ogni ragionevole dubbio, sarebbe quello di trovare tracce di sperma. Sperma raccolto all’epoca dell’omicidio e poi perduto a causa della distruzione dei vetrini che lo conservavano.