L’ultimo mistero in una agenda. Un prete sa chi l’ha uccisa?

Omicidio Macchi - Da un’inchiesta della Stampa spunta un dialogo tra Patrizia Bianchi e Stefano Binda

Novità sul caso di . Secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa ci sarebbe una nuova annotazione di su una sua agenda, – ora in mano agli investigatori – come ulteriore prova contro Binda: si tratterebbe di un dialogo tra lei, il presunto assassino e una terza persona. Patrizia Bianchi è la super testimone di questo processo. Tutto ha avuto inizio nel 2014 quando l’imprenditrice varesina, amica di Lidia e di ai tempi del delitto, ha riconosciuto nella lettera anonima “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi il 10 gennaio 1987 – giorno delle esequie di Lidia – la grafia di Binda. La lettera viene mostrata dalla trasmissione Quarto Grado e Bianchi chiama la polizia.

Fa di più: mostra agli inquirenti una cartolina che Binda le aveva mandato 30 anni prima durante una vacanza alla Maddalena. Il sostituto pg , che coordina l’inchiesta dal 2013, ordina una perizia grafologica che attesta come sia Binda l’autore della missiva anonima da sempre considerata dagli inquirenti come lettera scritta dall’assassino o da qualcuno che era al corrente di retroscena sull’omicidio.
Binda viene interrogato due volte come persona informata dei fatti e nega di essere l’autore

della lettera: così facendo fornisce all’autorità giudiziaria l’opportunità di indagarlo formalmente.
Non solo: Binda contatta anche i vecchi amici di Comunione e Liberazione, ambiente frequentato all’epoca sia da lui che da Lidia, forse per avere informazioni sull’inchiesta in corso, creando un rischio di inquinamento delle prove che è andato a sorreggere l’ordinanza di custodia cautelare che lo ha portato in carcere. Ma questa è storia nota.
Secondo quanto riportato da tre giornalisti della Stampa, poco dopo il ritrovamento del cadavere della giovane Lidia, Patrizia avrebbe raggiunto Stefano davanti alla chiesa di San Vittore. La donna avrebbe poi annotato sulla sua agenda quanto i due si sono detti in quell’occasione. Secondo gli appunti della donna, riportati dal quotidiano torinese, il dialogo tra i due e una terza persona sarebbe stato questo: “Tu non sai, non puoi nemmeno immaginare cosa sono stato capace di fare”. Firmato, tra parentesi, T. “Forse è per questo, di certo per questo, che non ho insistito nel chiederti perché vai a letto così tardi”. Firmato L. «Per quanto è nelle tue responsabilità, e questo solo Dio lo sa, io ti perdono”. Firmato D». Chi sono, “T”, “L” e “D”? I tre giornalisti spiegano che si tratta di iniziali.
«Le prime due stanno per Teti e Loa, i soprannomi affettuosi che si scambiavano Stefano e Patrizia. Il terzo per Don». Sempre dall’inchiesta della Stampa si afferma che, secondo la ricostruzione della signora Bianchi, un prete avrebbe ricevuto la confessione dell’assassino. Tutte ipotesi che necessitano di conferma e che sono al vaglio degli inquirenti.
Intanto, proseguono le ricerche dell’arma del delitto all’interno del Parco Mantegazza, sotto sequestro dal 15 febbraio scorso. Anche in questo caso sono state le confessioni di Bianchi a far scattare le ricerche: la donna avrebbe confermato di aver “accompagnato Stefano Binda” al parco Mantegazza alcuni giorni dopo l’omicidio. E l’uomo si sarebbe «allontanato con in mano un sacchetto» che poi, al ritorno, non aveva più con sé.
Non è stata ancora ufficializzata la data della riesumazione del cadavere della giovane studentessa che permetterà di condurre una serie di analisi alla ricerca di eventuali tracce di Dna sulla salma di Lidia Macchi. Il 29 aprile la Cassazione deciderà se rimettere Binda in libertà oppure no.