Mario Alioli, una passione per i presepi. Varese riscopre la sua arte pirografata

Uno degli artisti più affezionati alla sua città, ma tra quelli maggiormente dimenticati. La sua opera non è scomparsa

Il 12 di ottobre ricorrevano cinque anni dalla morte di Mario Alioli, uno degli artisti più affezionati alla sua città, eppure fra i più dimenticati, tant’è vero che per due anni dopo la sua morte i famosi presepi pirografati che ogni anno per l’Avvento allestiva in san Vittore – dove aveva dipinto anche la lunetta sopra il portale – sono rimasti chiusi in cantina.

Mario Alioli, l’artista della dimensione domestica, della ruralità, dei mestieri di un tempo era il presepista per antonomasia di Varese. Nato in Vicolo San Martino, dove la mamma Rosa aveva una trattoria, a sei anni perde il papà: la mamma si trova a gestire l’esercizio da sola. «A quel tempo» racconta Rita «venivano a Varese con i carri di formaggio e latte da Boarezzo. Le dissero: “Ma Rosa, perché ti tieni questo bambino sempre appiccicato? Come fai a lavorare? Così

Rosa lo portò a Boarezzo da una signora che aveva due figlie femmine e aveva sempre desiderato un maschio: divenne la sua balia. Lui la chiamava zia Teresa: fu una seconda mamma per lui, e il Giuanìn suo marito, un padre». Nel ridente villaggio sul Piambello Mario frequenta le elementari alla “scöra” del paese, che sarebbe divenuta alla metà degli anni Ottanta la sede degli Amici di Boarezzo; poi torna in città per le medie. Ormai però Boarezzo aveva formato il suo carattere e aveva dato impronta alla sua arte, che si sarebbe votata ai temi bucolici. Mario ebbe per anni lo studio in Vicolo Canonichetta, «dove faceva orari da impiegato» ride Rita, dopodiché negli anni Novanta si trasferisce in piazza Carducci. In quegli anni Mario inizia ad allestire presepi artistici. «Spargeva letteralmente presepi – spiega Rita – perché la sua era un’esigenza spirituale: li dedicava alla memoria di sua madre». Una passione che Mario rafforza conoscendo la futura moglie, nel ‘78: Rita viene da Assisi e negli anni del fidanzamento lo porta con sé a conoscere la culla del presepe. «Vide il presepe sul prato e il concorso dei presepi: sognava di poterli realizzare anche a Varese». Così l’artista divenne, a ciclo continuo, il cantore della dimensione sospesa e sognante della sua Varese: presepista a Natale, creatore di sagome di cartapesta per il Carnevale Bosino, pittore per il trofeo Miriam Garbosi e maestro, in estate, alla scuola di disegno e arti applicate per i suoi ragazzini di Boarezzo, il paese che con un manipolo di amici pittori aveva salvato dall’oblio istoriandone le vie sui temi degli antichi mestieri, gli stessi che aveva dipinto in via Bernascone nel palazzo Caravati davanti all’Impero.

«Il suo calendario era scandito dalla vita della sua terra» ribadisce Rita. Dopo la morte diversi suoi lavori cadono nell’oblio: primo fra tutti il presepe del Mosé, custodito dagli Amici del Sacro Monte che per questioni di assicurazione non possono riallestirlo. Ma grazie alla segnalazione sul nostro giornale, la Badia di Ganna e la Quiete vengono a scoprire dei due presepi dimenticati di san Vittore e li chiedono per il Natale del 2014. Da allora il primo è rimasto allestito in esposizione permanente a Ganna, mentre il secondo, tornato al mittente, è imballato dall’Epifania del 2015 presso la cascina di zia Teresa, a Boarezzo. In realtà Rita, desiderosa di rivalorizzare l’opera del marito in un contesto degno, fa sapere che c’è una bellissima novità: don Marco Casale è interessato a portare al Molina la bellissima opera a pannelli pirografati e colorati, che potrebbe quindi presto raggiungere la fondazione di viale Borri ampliata cinquant’anni fa da un generoso lascito di donna Luisetta Tola D’Oria, la vedova di Luigi Molina, andando a gemellarsi con il Cristo Deposto della Chiesa. n