Morì d’amianto. Condannato l’ex datore di lavoro

L’ex amministratore dell’azienda è stato ritenuto colpevole di omicidio colposo in primo grado

Morì d’amianto nel 2011: condannato a due anni (pena sospesa) l’amministratore delegato che guidò l’azienda dal 1974 al 1984. Per il giudice Anna Azzena l’imputato, che oggi ha 84 anni ha omesso «di adottare le misure che secondo particolarità tecnica, esperienza e tecnica, erano necessarie a salvaguardare il lavoratore».

Non solo: «l’amministratore delegato omise anche di informare e formare il dipendente» sulla sua esposizione quotidiana alle polveri, non fornendo «adeguate protezioni» né «sottoponendolo a controllo sanitario». Il giudice estensore nelle motivazioni della sentenza sottolinea che sin dal 1900 erano note le conseguenze per la salute all’esposizione alle polveri, così come negli anni 80 era già sospetto il nesso causale tra l’esposizione alle fibre d’amianto e l’insorgere del mesotelioma.

Lo stesso giudice sottolinea che il lavoratore non era un fumatore «e qualora lo fosse stato sarebbe stato irrilevante visto che non vi è alcun nesso scientifico tra il fumo e l’insorgere del mesotelioma diverso dal tumore ai polmoni». L’ex amministratore è stato quindi ritenuto colpevole di omicidio colposo in primo grado per queste ragioni. Il capo di imputazione è stato cambiato (l’indagine era stata aperta nel 2009 quando la vittima era malata ma viva) dopo il decesso dell’operaio.

Il pubblico ministero Antonia Rombolà ha chiesto una condanna a un anno e quattro mesi per l’allora amministratore delegato, oggi ottantatreenne. Il giudice del tribunale di Varese Anna Azzena è andata oltre (accogliendo tutte le ipotesi dell’accusa come si legge nelle motivazioni) condannando l’ex amministratore a due anni. La vittima iniziò a lavorare a soli 15 anni. Nel 1974 (sino al 1984) lavorò per un’azienda varesina oggi perfettamente in regola e gestita da vertici estranei alla vicenda come tubista. Tubature che, per mantenere costante la temperatura dell’acqua utilizzata dagli impianti produttivi dell’azienda, erano rivestite di pasta d’amianto. L’operaio è morto a causa di un mesotelioma, patologia cancerogena causata proprio dalle fibre d’amianto, che l’operaio avrebbe respirato ignaro del pericolo che stava correndo per dieci anni. Il caso è stato segnalato all’autorità giudiziaria varesina attraverso il registro del mesotelioma e l’inchiesta è sfociata in un processo a carico dell’ex amministratore delegato dell’azienda. Già nel 1965 il pericolo per la salute dei lavoratori causato dall’amianto era noto. Tuttavia l’accertata pericolosità per gli operai era limitata al contatto diretto con il materiale. Blanda era invece la prevenzione in merito a chi invece operava su manufatti realizzati in amianto, come le tubature sulle quali lavorava la vittima. Tuttavia, secondo l’accusa, la vittima non soltanto non ha ricevuto adeguata formazione e non fu dotata di tutti i dispositivi necessari per la sicurezza sul lavoro, ma fu esposta anche a una dispersione di polveri vietata da una normativa già in vigore. Per l’accusa l’azienda, colposamente, espose il dipendente ad un rischio altissimo.

E il dipendente, infatti, si ammalò, morendo sei anni fa di mesotelioma. A sostegno della tesi accusatoria anche una relazione dell’Asl che individua, sulla base delle testimonianze raccolte, carenze inescusabili da parte dei vertici della ditta in relazione alla sicurezza sul lavoro dei propri dipendenti all’epoca dei fatti.