Nuove tracce sui resti di Lidia. Ma la speranza è appesa a un filo

Oggi nuova udienza del processo contro Binda: in aula le grafologhe e il “complotto bresciano”

Omicidio Macchi: oggi in aula confronto tra grafologhe. Ma ci sono anche novità sul fronte delle indagini scientifiche in corso. È stata infatti estratta una traccia spermatica dal campione di imene della giovane vittima. Una speranza di arrivare alla verità che sarebbe però già naufragata: il campione è insufficiente per un eventuale confronto del Dna.

fu assassinata nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 con 29 coltellate dopo aver consumato il suo primo rapporto sessuale. Il 15 gennaio 2016 fu arrestato, con l’accusa di aver assassinato la studentessa di soli 20 anni, , 50 anni, di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia. Binda, che si è sempre dichiarato innocente e che è ora a processo davanti alla Corte d’Assise presieduta da , ha volontariamente fornito un campione del proprio Dna al momento dell’arresto.

Tutti i reperti relativi al caso furono distrutti nel 2000. Il campione di tessuto ricavato dall’imene di Lidia, si è salvato perchè “dimenticato” all’istituto di medicina legale di Pavia dove era stato inviato per delle analisi. La traccia trovata non porterà quella svolta nella quale tutti speravano. Sui resti di Lidia sono stati isolati anche circa 6mila reperti piliferi. Due di questi non appartengono né alla vittima né a persone della cerchia familiare. Una volta conclusi gli esami, si procederà alla comparazione tra i due reperti e il capello prelevato a Binda.

Per quanto riguarda le grafologhe, già sentite separatamente in aula bunker, (accusa) e (difesa) hanno riferito con assoluta sicurezza che la lettera anonima “In morte di un’amica”, arrivata alla famiglia Macchi il giorno dei funerali di Lidia, è opera di Stefano Binda (Contessini) e non lo è assolutamente (Altieri). Oggi le due saranno sottoposte a un confronto diretto.

Sempre oggi sarà sentito , l’amico che avrebbe riferito alla super teste di un complotto bresciano per scagionare Binda. Oggi si andrà a verificare se quanto riferito da Bianchi è vero o no, e cioè se l’uomo abbia raccontato davvero di un depistaggio che vedrebbe all’opera tre avvocati di Brescia e che ruoterebbe intorno al fantomatico “vero autore” dell’anonimo “In morte di un’amica”, che appunto a un avvocato di Brescia, , si è rivolto per “scagionare” Binda (ma all’inizio della scorsa udienza il legale ha deciso di non fare il nome di questo suo cliente ed è stato subito congedato dalla Corte). Il processo potrebbe quindi fermarsi per due mesi in attesa che vengano terminati gli esami scientifici sulla salma di Lidia.