Omicidio Macchi: «Binda non è l’autore della lettera»

Per la grafologa testimone della difesa «non ci sono elementi per attribuire a lui “In morte di un’amica”»

«Non c’è nessun elemento scientifico che in coscienza possa portare ad attribuire a l’anonimo “In morte di un’amica”».

Per Cinzia Altieri, consulente grafologa e testimone della difesa la lettera “In morte di un’amica”, recapitata a casa di , uccisa con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, il 10 gennaio di 30 anni fa nel giorno delle esequie di Lidia. Una lettera colta e oscura che per gli inquirenti fu scritta dall’assassino o da qualcuno connesso al delitto. Una missiva che la consulente della procura generale ha attribuito a Binda, 50 anni, di Brebbia, arrestato il 15 gennaio 2016 con l’accusa di essere l’assassino di Lidia, sua ex compagna di liceo, e oggi a processo per quella stessa accusa.

Altieri ha smentito Contessini su tutta la linea. Comparando “In morte di un’amica”, la grafia sulla busta che conteneva la missiva e la frase “Stefano è un barbaro assassino” trovata su una versione di greco sequestrata a casa di Binda. Secondo la consulente Altieri la scrittura di nessuno dei tre è riconducibile a Binda. La grafologa deposita una integrazione della consulenza e spiega di avere tenuto come riferimenti per la comparazione autografi di Binda, le quattro cartoline da lui scritte all’amica

di un tempo (che le consegnò alla squadra mobile di Varese e fu una delle svolte dell’inchiesta, scritti della stessa Bianchi, ma solo ha precisato, per parametro di comparazione, «potevano essere di chiunque altro». Altieri è minuziosa in un’esposizione di conclusioni opposte a quelle di Contessini e che porterà a un durissimo contro esame da parte del pm . Quella che ha redatto in stampatello “In morte di un’amica” è la scrittura abituale dell’estensore. Così come è naturale e abituale la grafia degli scritti sequestrati a Binda. Esistono somiglianze fra scritture di mani diverse, ma qui importano le differenze, che sono importanti e sostanziali. Per esempio Binda non è uso mettere i punti sopra le i. Fa uno scarsissimo ricorso ai segni d’interpunzione. Sembra amare il punto esclamativo che invece non viene usato in “In morte di un’amica” dove avrebbe trovato una giustificazione nell’enfasi che pervade la prosa anonima. Diversa la formazione di r, l, t. Conclusione: “In morte di un’amica”, l’indirizzo sulla busta, la frase “Stefano è un barbaro assassino” non sono usciti dalla mano di Binda. «L’attribuzione non presenta elementi inequivocabili di identificazione». Binda non è dunque, per la consulente di parte (che ha ribadito più volte di aver seguito in perizia il protocollo oggi accettato da tutta la comunità scientifica), non è l’autore di In morte di un’amica. E il pm, dopo uno scontro con i difensori di Binda e , quest’ultima l’ha invitata ad usare «altri toni», ha sollevato l’opportunità di un contraddittorio tra i due consulenti di parte.

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

(Foto by Varese Press)

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

I reperti portati durante l’udienza del processo a Stefano Binda

(Foto by Varese Press)

(Foto by Varese Press)