Ra puscena di donn a Varés. Si celebra oggi l’antica tradizione

Tra gli invitati speciali all’evento organizzato dalla Famiglia Bosina sarà presente la nota cantautrice Diana Ceriani

Questa sera, per il secondo anno di fila, fra gli invitati alla famosa serata della Gioebia organizzata della Famiglia Bosina, c’è Diana Ceriani, la cantautrice in abito tradizionale e “ragèra” consacrata al successo lo scorso novembre dalla vittoria al Festival della Canzone Lombarda di Lissone e dalle numerose apparizioni televisive. Diana, che da ragazza ha fatto parte del Gruppo Folcloristico Bosino, è una delle persone che maggiormente tengono alle tradizioni e al folclore della nostra città

e che cercano strenuamente di non farle morire. Nella sua prima performance dell’anno solare, l’8 di gennaio, la cantautrice si è esibita in un recital – spettacolo nei locali della Proloco di Ganna, allestendo lo spettacolo in onore di Mario Alioli. In quell’occasione, interpretando alcune poesie scritte durante la sua carriera e raccolte nell’Almanacco delle tradizioni bosine – I stagiun dul cör (edito da Macchione nell’ottobre 2016) ha intrattenuto un folto uditorio proprio sulle origini della festa della Gioebia. «All’interno dell’Almanacco questa ricorrenza ha una certo peso dal momento che dà un’impronta caratterizzante non solo a Varese ma anche a tutto il suo territorio: in ogni paese la si vive in modo diverso e non si finisce mai di ricercare e di trovare nuove notizie». Se però nel resto della provincia Gioebia è sinonimo di vecchia che brucia, con la ritualità e i significati propiziatori legati all’inverno che arde e fertilizza con le sue ceneri la nuova stagione, nel capoluogo – forse anche perché il falò di sant’Antonio “ruba la scena” agli altri roghi – la festa assume contorni del tutto diversi, diventando “ra puscena di donn”, da “post cenam”, ossia dopocena delle donne. «Essendo nativa di Bosto, per me la Gioebia fa rima con ra puscena da sempre. Bisogna sapere che il terzo giovedì del mese di gennaio nei tempi antichi si festeggiava la puscena di oman, di cui purtroppo si son perse le tracce. Invece l’ultimo giovedì del mese di gennaio, ossia la Gioebia, quando finiva il congedo natalizio, a Varese gli uomini partivano per andare a lavorare all’estero, nelle miniere in Germania e nel Belgio, chiamati a mestieri che qua non trovavano: ed erano anche molto richiesti. Prima di partire facevano omaggio di un cuore dolce alle loro amate: si trattava di semplici torte fatte preparare da mani esperte, forse donne anziane, pagate per cucinare. Era un pensiero simbolico che stava a significare che pur destinati a rimanere lontani per un anno interno, il loro cuore rimaneva nelle cascine. Prima di partire si usava consumare tutti assieme una cena frugale di commiato, che tradizionalmente era il risott e luganega; poi, quando gli uomini salivano sui carri o le corriere per viaggiare di notte, le fidanzate e le mogli si davano appuntamento per una serata tutta al femminile». Così, a Varese usa che la festa delle donne e San Valentino, anche se ormai son divenuti di moda esattamente come Halloween, vengono “fagocitati” da questa ricorrenza antica, che esisteva molto prima che si imponessero feste d’importazione e che mantiene vivi i contorni popolari ancor oggi: ne sono prova i cuori dolci esposti in tutte le pasticcerie del centro. E a proposito di pasticcerie, senza voler far torto a nessuno ma semplicemente ricordando un’icona dei tempi che furono, ossia Lucia Zamberletti, la mamma di Angela, si deve sapere che era una delle prime leve della Famiglia Bosina, e che i primi cuori dolci di pasticceria furono inventati per lei dal marito Carlo: fu lui a rivestire il ruolo di primo fornitore ufficiale per la festa della Gioebia della Famiglia Bosina. D’altra parte Lucia, classe 1915, era la migliore amica della penna dell’amore, la scrittrice Liala, con la quale soleva intrattenersi davanti a tè e pasticcini e fare anche viaggi all’estero alla ricerca di ispirazione dolciaria, come quando si portarono a casa da Vienna la ricetta della Sachertorte, com’è documentato sul Diario vagabondo. E il cerchio, o meglio la tortiera a forma di cuore, naturalmente, qui si chiude.