«Se domani mi condannano ti ammazzo». Ma il “mostro” non la potrà più toccare

Due anni e quattro mesi a un sessantenne varesino per maltrattamenti nei confronti dell’ex moglie

«Se domani mi condannano ti ammazzo». A pronunciare queste parole un varesino di 60 anni a processo per maltrattamenti a carico dell’ex moglie e condannato dal presidente Orazio Muscato a due anni e 4 mesi di carcere. L’ultima minaccia è arrivata 24 ore prima della sentenza. L’ex compagna non si è lasciata intimorire e ieri era in udienza assistita dall’avvocato Patrizia Esposito. La donna si è costituita parte civile. Ha sentito i testimoni ripercorrere la storia di un calvario durato quasi 14 anni. Il calvario di un matrimonio con un uomo violento che, davanti al “basta” pronunciato dalla compagna, ha reagito da par suo. Mandandola in ospedale in svariate occasioni.

L’uomo ha tra l’altro due precedenti specifici: l’ex moglie lo aveva già denunciato e prima della condanna a due anni e 4 mesi il sessantenne aveva in sospeso un patteggiamento a un anno e tre mesi sempre per maltrattamenti nei confronti dell’ex consorte. Quella raccontata in aula è la storia di un matrimonio infelice che ha visto una donna mite (dopo la sentenza di condanna la donna si è sciolta in lacrime per il sollievo ma anche e soprattutto per il dispiacere di dover essere arrivata a questo) legarsi ad un uomo gelido e manesco. Nella conta dei pestaggi subiti ne spicca, ad esempio, uno che ha costretto la vittima a ricorrere a pesanti cure ospedaliere. Il sessantenne ha spaccato (letteralmente) la faccia all’ex moglie: per lei 30 giorni di prognosi e un’operazione di ricostruzione della mascella e dell’orbita oculare in conseguenza delle percosse subite.

L’uomo in sede processuale ha negato ogni cosa. Ha negato tutto: le botte, le minacce. Ha negato ogni cosa dichiarando di avere addirittura pianto nel 2008 quando la moglie, dalla quale è divorziato da ormai quattro anni, gli aveva comunicato (la separazione era già in atto) di amare un altro. L’imputato non ha ammesso nulla, mentre il difensore ha sottolineato come la vittima abbia continuato a vivere vicino all’ex marito. Quasi come se il non voler rinunciare a una casa costruita con il lavoro e i sacrifici di una vita, il non voler rinunciare al luogo dove si è trascorsa la vita, dimostrasse come la donna non avesse mai subito maltrattamenti.Il giudice non ha creduto a questo suo negare: a parlare, oltre ai testi, c’erano anche i referti medici. Ed è arrivata la condanna. Una sentenza che sicuramente sarà impugnata in Appello.