«Sì, sono loro». L’ex detenuto riconosce due degli agenti

Processo Alcatraz - Uno degli evasi addita le guardie e ammette: «Ci hanno aiutato a scappare»

«Sì sono loro». Ha riconosciuto due degli imputati in aula Georgie Bunoro, uno dei tre protagonisti della rocambolesca fuga da film andata in scena al carcere dei Miogni nel febbraio del 2013 a Varese. Alla sbarra ci sono cinque agenti della polizia penitenziaria accusati di aver favorito l’evasione dei tre in cambio di sesso e soldi. «Sì – ha detto Bunoro in aula – avevano contatti con le ragazze. Frequentavano i locali dove le ragazze di Miclea (altro evaso) lavoravano». Il coinvolgimento degli agenti della polizia penitenziaria di Varese esplose nel novembre 2014 quando i cinque presunti fiancheggiatori furono arrestati. Dopo l’evasione le indagini coordinate dal pubblico ministero Annalisa Palomba, si era indirizzate subito verso la pista interna, ma solo negli ultimi mesi gli inquirenti hanno confermato i sospetti di un favoreggiamento.

In particolare, una donna, durante i colloqui, riuscì a far entrare una lima nascosta in una cintura e addirittura un cellulare che aveva occultato nella vagina. Pare che alcuni agenti sapessero della ragazza ma abbiano chiuso un occhio in cambio di favori e denaro. La ragazza stessa ha testimoniato e le sue dichiarazioni sono state acquisite dal tribunale. Gli arresti arrivano con ordinanza di custodia cautelare. La fuga dei tre detenuti avvenne il 21 febbraio 2013: si trattava di Mikea Victor Sorin,

29 anni, condannato per sfruttamento della prostituzione, Daniel Parpalia e Marius Georgie Bunoro, 28 e 23 anni, che erano ancora in attesa di giudizio per furto aggravato. Erano nella stessa cella e insieme avrebbero pianificato la fuga. Segarono le sbarre di un bagno e nel cortile fecero una torretta con i cassonetti della carta, scavalcando il muro di cinta con delle lenzuola. Furono fermati poche ore dopo. Gli arresti sono stati effettuati dai carabinieri del nucleo operativo radiomobile di Luino e Varese, dalla polizia penitenziaria, dalla polizia di Stato e dalla guardia di finanza. Effettuate nove perquisizioni sempre a carico di appartenenti alla polizia penitenziaria. Alcuni agenti sono stati prelevati nel carcere di Varese, dove erano stati messi di turno questa notte in vista dell’operazione.

Alle persone arrestate gli inquirenti contestano i reati di procurata evasione, corruzione, falso ideologico, minaccia, intralcio alla giustizia. Nel corso del processo, che va avanti da alcuni mesi in molti hanno dichiarato «Tutti quella notte hanno sentito cosa stava accadendo. Era impossibile non sentire quei rumori. L’acqua lasciata aperta non li copriva». Stando ai testimoni l’intero carcere avrebbe sentito quei rumori. Miclea, tra l’altro, il giorno prima, con la scusa di festeggiare un onomastico, avrebbe regalato agli altri detenuti sigarette e altri beni di conforto in suo possesso. Comprese le guardie che quella notte erano in servizio, secondo quanto asserito dall’accusa, in alcun modo avrebbero potuto ignorare, se non volutamente, tutto quel baccano. Secondo il racconto dei testi i Miogni, per molto tempo, avevano riecheggiato dei rumori dell’evasione senza che nessuno degli addetti alla sorveglianza andasse a controllare cosa stesse accadendo. Secondo l’accusa, inoltre, le stesse guardie ritardarono di circa un paio d’ore l’allarme in modo da dare ai fuggiaschi un buon vantaggio sugli inseguitori e potersi mettere in salvo varcando il confine con la Svizzera. E in Svizzera sono stati arrestati due dei tre evasi. L’ultimo si è costituito spontaneamente essendo ritrovato solo e senza mezzi.