«Solidarietà ed educazione. Così l’integrazione è possibile»

L’intervista - Una lunga conversazione con monsignor Luigi Panighetti, prevosto della nostra città

Qual è l’orizzonte dell’integrazione a Varese?
Lo abbiamo domandato al prevosto della città. Cosa serve per una vita comune, identità forti e riconoscibili e rispetto reciproco sono gli aspetti indagati da monsignor , che tra pochi giorni festeggerà il primo anno alla guida della Basilica e della Comunità Pastorale Sant’Antonio Abate.
«Penso che l’integrazione sia di fatto l’unico orizzonte possibile nell’attuale situazione di parcellizzazione e difficoltà».
È un obiettivo inevitabile. «Bisogna capire quali siano i passi da compiere per garantire questo tipo di percorso, rimanendo nel rispetto dell’identità di ciascuno, ma anche trovando un itinerario verso l’integrazione».

Obiettivi diversi, secondo il monsignore, sono irrealistici.
«Ormai la globalizzazione è una questione sotto gli occhi di tutti e senza ritorno. Ci sono distonie assolute nel mondo: da luoghi privi di natalità a quelli dove si fanno tanti figli; dal benessere alla guerra; dalla concentrazione di denaro alla povertà. Questo significa anche il movimento di masse umane. Viviamo in questo senso un’emergenza che sta diventando una situazione costante e non possiamo immaginare si blocchi. Ci saranno modalità da mettere in campo per la gestione di un grave problema che forse si poteva meglio studiare invece di procedere solo nella logica dell’emergenza. Ora ci troviamo in una situazione complicata e dolorosa sul versante di chi arriva e di chi deve accogliere e deve trovare soluzioni in condizioni complesse».

Forme di integrazione tra cattolici e non cristiani sono nate, già da tempo negli oratori, in particolare nel periodo estivo.
«Nell’ottica di una gradualità per raggiungere lo scopo, è un primo, semplice e immediato passo che viene “dal basso” e che potrebbe essere poi foriero di buone prospettive. Non si può pensare tuttavia che tutto si risolva così o che sia una risposta definitiva».
È vero che nella misura in cui «questi ragazzi imparano una forma di convivenza tra persone diverse per etnia, razza e anche religione – vivendo proposte comuni – forse inizia un percorso per l’integrazione futura».
E di nuovo, anche in questo tema la questione educativa è fondamentale e centrale.
«Bisognerebbe capire, a livello di istituzioni, come ciascuno di noi gestisce e propone questo tipo di orizzonte».

I diversi culti devono rimanere ciò che sono per il prevosto.
«Vanno evitate forme di confusione e ibridismo o una miscellanea fuori luogo. Non penso ci possa essere una prassi ordinaria di culti che si mischiano».
Diversamente ci sono «atteggiamenti simbolici di rispetto che possono avere un peso notevole per dare un messaggio importante».
Lo sono state la «visita del decano, don Mauro Barlassina, e mia alla chiusura del Ramadan a Varese e il gruppo di islamici in Basilica San Vittore, in segno di pace e solidarietà, all’indomani dell’omicidio del sacerdote francese padre Jacques Hamel. Entrano in questo insieme di segni simbolici di solidarietà e rispetto che è bene ci siano e che vengano apprezzati».

Sul tema di religioni e società si è recentemente espresso Papa Francesco.
«Il tema dello scontro di civiltà e religioni fu, a suo tempo, affrontato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Non stiamo partecipando a uno scontro di questo genere: la questione, e sono d’accordo con Bergoglio, è diversa. All’interno del contesto variegato dell’Islam ci sono fasce che utilizzano interpretazioni più o meno corrette del testo sacro per poi viverle inseguendo obiettivi non spirituali. Alcuni cercano di suffragare con pretesti appoggi religiosi a terrorismo e sete di potere, ma evidentemente non riguarda tutto quanto l’Islam. A noi tocca lo sforzo di un distinguo che, forse per abitudine o pigrizia mentale, non facciamo e che servirebbe invece fare per evitare errori che possano essere gravi per noi».

«La chiesa varesina, posto che tanto c’è da fare visto l’obiettivo impegnativo, ha già iniziato alcuni percorsi e prassi in questo senso. Il primo lavoro è educativo: negli oratori è presente un elemento iniziale ma da non sottovalutare. Poi c’è la disponibilità che il clero ha dato rispetto a un confronto su questi temi. E non da ultimo l’attività caritativa che mette in campo le parrocchie senza ingenuità, compiendo passi significativi per la promozione della persona nell’ottica di una integrazione vera. Tutto è migliorabile, ma sono buoni punti di partenza».

Nel suo “tricalogo” di fine estate Panighetti riassume tre buone prassi per riflettere sulla tematica dell’integrazione.
«Il primo punto è porsi nell’atteggiamento di una maggiore ricerca e capacità di distinguere gli elementi. Il rischio di fare di ogni erba un fascio è dietro l’angolo».
Il secondo passo da compiere poi è «domandarsi e capire come ciascuno stia già tentando di vivere e fare esperienza di integrazione. O quanto è disponibile a fare questo tipo di percorso».
Infine, l’ultimo passo è di tipo culturale: «una mente aperta e allenata è disponibile al confronto. Per questo può aiutare mettersi nell’ottica di cercare e dedicare tempo a una buona lettura o un buon film adatti, che aiutino nei campi precedenti».