«Tutti sapevano dell’evasione. Impossibile non sentire»

Caso Alcatraz - Davanti agli agenti della Penitenziaria accusati, un testimone racconta quella notte

– «Tutti quella notte hanno sentito cosa stava accadendo. Era impossibile non sentire quei rumori. L’acqua lasciata aperta non li copriva».
Torna in aula il processo Alcatraz che vede sul banco degli imputati Rosario Russo, 45 anni, assistente capo, e quattro agenti: Francesco Trovato di 55 anni, Domenico Di Pietro di 57 anni, Carmine Petricone di 28 anni e Angelo Cassano di 40 anni, cinque agenti della polizia penitenziaria di Varese arrestati il 9 dicembre del 2014 al termine dell’indagine

coordinata dal pubblico ministero Annalisa Palomba. Le manette scattarono all’alba al cambio turno nel carcere dei Miogni; fu una task force tra polizia penitenziaria, carabinieri, guardia di finanza e polizia di Stato a fermare i cinque agenti accusati di aver fiancheggiato e favorito l’evasione di tre detenuti Victor Miclea, 31 anni, Daniel Parpalia, 30 anni e Marius Bunoro, 25 anni, fuggiti dai Miogni il 21 febbraio 2013. I cinque agenti sono accusati di aver favorito quella fuga da film, con tanto di lenzuola annodate per calarsi dalla finestra della cella e cassonetti impilati per saltare il muro di cinta dei Miogni, in cambio di denaro (a uno degli imputati viene contestato di aver intascato 20mila euro) e sesso gratuito fornito con generosità dalle ragazze della scuderia di Miclea. I contorni della vicenda sono pruriginosi: non manca nulla. Dalle chiavette con immagini hot trovata in uso a uno degli imputati, a un telefono cellulare poi usato da Miclea per organizzare l’evasione fatto entrare in carcere nascosto nella cavità vaginale della compagna di Miclea. Ieri in aula, al termine del contro esame di Alessandro Croci, comandante della Penitenziaria di Varese e autore dell’inchiesta che ha portato all’arresto dei cinque, uomo onesto che per questo avrebbe dovuto essere picchiato come chiesto da uno degli imputati in cambio del favoreggiamento della fuga, ha testimoniato uno dei detenuti che quella notte si trovava in cella. «In tutto il carcere si sentivano quei rumori – ha spiegato – nonostante fosse stata fatta scorrere dell’acqua e vi fosse una Tv accesa a tutto volume nella zona delle guardie». Acqua e Tv avrebbero dovuto coprire cosa? Il rumore della lima utilizzata, per parecchio tempo, per segare le sbarre della finestra dalla quale poi i tre evasi si sono calati. Stando al testimone l’intero carcere ha sentito quei rumori. Miclea, tra l’altro, il giorno prima, con la scusa di festeggiare un onomastico, avrebbe regalato agli altri detenuti sigarette e altri beni di conforto in suo possesso. Tutti hanno sentito. Compreso le guardie che quella notte erano in servizio, secondo quanto asserito dall’accusa, che in alcun modo avrebbero potuto ignorare, se non volutamente, tutto quel baccano. Secondo il racconto del teste i Miogni, per molto tempo, avevano riecheggiato dei rumori dell’evasione senza che nessuno degli addetti alla sorveglianza andasse a controllare cosa stesse accadendo. Secondo l’accusa, inoltre, le stesse guardie ritardarono di circa un paio d’ore l’allarme in modo da dare ai fuggiaschi un buon vantaggio sugli inseguitori e potersi mettere in salvo varcando il confine con la Svizzera. E in Svizzera sono stati arrestati due dei tre evasi. L’ultimo si è costituito spontaneamente essendo ritrovato solo e senza mezzi.