Un roseto in onore di Liala. Le sue parole sono immortali

Oggi nasceva la grande scrittrice d’amore, che scelse la Città Giardino come sua residenza. Il Comune la celebra con un bellissimo omaggio

Oggi, venerdì 31 marzo, ricorrono i 120 anni dalla nascita di , la grande scrittrice varesina dell’amore. In suo ricordo questa mattina il vicesindaco le dedicherà, sotto il cedro secolare del Libano di Villa Mirabello, proprio davanti agli archivi congiunti della penna cara al Vate e di Piero Chiara, una panchina con un nascente roseto. Ai suoi lati verranno piantate due rose bianche rifiorenti che, crescendo, avvolgeranno un arco a protezione di coloro che vorranno sedersi sotto il dolce ristoro dei petali: le eterne lettrici di Liala con il libro del cuore fra le mani,

gli innamorati teneramente abbracciandosi, gli amici confidandosi l’un l’altro luci ed ombre della vita. “Scrivo la vita e l’amore” diceva infatti Liala di sé, rigettando il cliché di scrittrice rosa che le aveva affibbiato superficialmente la critica; tuttavia non si può negare che la delicatezza dello stile e l’argomento sentimentale preponderante – benché non unico – abbia caratterizzato i suoi lavori, facendoli divenire emblematici di un filone che ha alimentato e continua ad alimentare la letteratura femminile.

In questa deliziosa occasione , figlia della grande scrittrice nonché sua preziosa collaboratrice ed editor ricorderà la figura materna, tratteggiandola come solo chi ne è stata per tanti anni l’ombra mite e paziente può fare. La dolce “Pri Pri”, 93 primavere, fresca di una freschezza senza tempo come il nome che porta, era stata battezzata con un nome piuttosto inusuale da una madre che già nel 1923 iniziava evidentemente a rivelare il tarlo della scrittrice, quantomeno per fantasia.

«Un nome che non mi è mai piaciuto» ammette «e che ho sempre rimproverato a mamma: ma come hai fatto a non pensare che sarei diventata anziana anch’io?, le ripetevo spesso. Io mi vergognavo a dire come mi chiamavo…». Primavera, al contrario della madre, riservatissima e malinconica, è una persona luminosa, circondata dall’affetto della sua Tilla, la governante storica, e dalle “sue” lettrici di sempre, che la chiamano al telefono quotidianamente e le stanno vicine. «Mamma non ha mai festeggiato un compleanno: era, per lei, un giorno come un altro, doveva lavorare. In famiglia le facevamo gli auguri, ma di spegnere candeline o di far feste per se stessa non se ne parlava proprio. Piuttosto, sono sempre state le lettrici a ricordarsi del 31 marzo: arrivavano, per l’occasione, fasci di fiori da ovunque, lettere, telegrammi e telefonate, oltre a pellegrinaggi di lettrici a Villa La Cucciola, che puntualmente mamma non riceveva, benché a volte provenissero da molto lontano. Aveva un carattere chiuso, se ne stava coi suoi pensieri, coi suoi ricordi. Noi vivevamo a parte, Serenella allevata dalla nonna, io a casa accanto a lei a leggere tutto il giorno i libri che mi portava dalla casa editrice: così sono diventata il suo alter ego. Conoscevo a tal punto la sua scrittura, dovendo rileggere le sue bozze, tagliarle dove si dilungava, sistemarle dove occorreva, che nessuno si è mai accorto di dove finiva Liala e dove arrivava Primavera. Una volta, mi ricorderò sempre, era già anziana e mi mise in mano quattro cartelle da correggere: “Mamma” le dissi, “guarda che questo romanzo lo hai già scritto”. Ci rimase male».

Ironica e pungente, Primavera qualche sassolino dalla scarpa alla sua età se lo può tranquillamente levare. «Mamma era innamorata di Furio di Villafranca, il protagonista di Signorsì: le ricordava il suo Centurione nel bene e nel male, nella passione e nella gelosia. Io, al contrario, non mi sono mai affezionata ad un personaggio particolare: per me era un lavoro di correzione e basta, mi bastava vedere che tutto procedesse bene e non si ripetesse». E se la madre era poco “social”, al contrario la figlia era destinata a prefigurare gli anni della mediaticità: «Le curavo personalmente la posta, facendole riassuntini delle 80 lettere settimanali. Le italiane sono grafomani e mamma era sommersa dalle richieste più strane: avevano una fiducia tale nei suoi consigli che arrivavano a raccontarle persino del colore della suocera e delle scarpe scelte alla mattina. Due cose non mancava mai di fare: aiutare silenziosamente le persone in difficoltà e inviare alle lettrici una copia autografata dei suoi libri, quando lo richiedevano; ma non volle mai parlare direttamente con le lettrici. Ci teneva a mantenere la distanza, non scendeva mai sul personale. L’idolo, se lo tocchi troppo da vicino ti lascia l’oro sui polpastrelli, diceva». Perché Liala era ed è prima di tutto un mito, ed è giusto ricordarla così, candida ed eterea come le rose bianche che amava tanto.