Cina, per portare il figlio disabile a scuola papà cammina 29 chilometri tutti i giorni

Il sedile è un canestro di vimini sulle spalle, la cintura di sicurezza le braccia intorno al collo, il motore è il passo di papà che ogni giorno cammina per 29 chilometri per portarlo a scuola. La strada è da rally, terra rossa e pietre, in salita, adatta a un suv e non certo a un paio di scarpe da tennis.

Xiao Qiang ha 12 anni, è disabile, e vive nella Cina meridionale, sulle colline della città prefettura di Yibin, provincia del Sichuan.

A scuola è il più bravo e suo papà, non avendo altri mezzi, lo porta in classe ogni mattina a piedi. Yu Xukang ha quarant’anni, è separato, e da nove anni vive solo con il figlio, ma non si è dato per vinto. Pur di poter assicurare al ragazzo un’istruzione, ogni mattina se lo carica sulle spalle, insieme allo zaino, e si mette in moto con l’unico mezzo che ha: le sue gambe.

Percorre, in ogni condizione climatica, 29 chilometri tra andata e ritorno, su sentieri polverosi e accidentati, alberelli smagriti, fino alla borgata di Fengyi Fengxi, dove c’è la scuola. Lascia il figlio alle sue lezioni in classe e si dirige al lavoro. Appena finisce, nel pomeriggio, compie lo stesso viaggio a ritroso.

Papà e figlio si alzano tutte le mattine alle cinque per arrivare per tempo alle lezioni e al lavoro e non rientrano prima di sera. In questi anni Yu Xukang ha percorso almeno 1.600 chilometri a piedi, con il figlio sulle spalle, per potergli assicurare un futuro. La sua storia è stata ripresa dalle tv locali, che sollecitano un aiuto da parte del governo, e poi ha conquistato le pagine del «Daily Mail», che ha eletto Yu Xukang papà dell’anno. Da parte sua l’uomo dice solo: «Sono orgoglioso – dice – che Xiao Qiang sia il migliore della classe e sono sicuro che farà grandi cose. Il mio sogno è che un giorno si iscriva al college».

La storia che giunge dalla Cina meridionale ricorda quelle raccontate nel film «Vado a scuola» diretto dal francese Pascal Plisson e uscito pochi mesi fa. Il regista documenta lo sforzo immane di tanti ragazzini, in Kenya, in India, in Marocco, in Patagonia, che devono alzarsi all’alba e attraversare fiumi, pianure, montagne, kanyon o foreste, per andare a studiare.

Alcuni devono persino caricarsi di secchi d’acqua e di legna, perché la loro scuola non offre da bere durante la giornata e non garantisce il riscaldamento. Altri, i giovani Masai, hanno rinunciato a essere guerrieri pur di studiare. Zahira vive in un villaggio berbero nel Marocco con due fratelli e quattro sorelle e sogna di diventare poliziotto per difendere i diritti delle donne e dei bambini del suo Paese. La vediamo camminare sola, un velo nero in testa e uno zainetto sulle spalle, in mezzo a una montagna arida.

Nella Baia del Bengala il dodicenne Samuel, figlio di pescatori poverissimi, deve percorrere otto chilometri su una sedia a rotelle (ha contratto la poliomielite da piccolo) sfidando piogge, sassi e buche. Carlito si mette in cammino, con la sua sorellina, per 25 chilometri sulla groppa di un cavallo sfidando la Cordigliera delle Ande con la preoccupazione di non arrivare in ritardo a lezione.

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