Fra un trapano e il pallone Maccecchini cuore biancorosso

«Sa ta set vegnua chi a fa’ cusè?», “Cosa sei venuta a fare qui?” esordisce ridendo il signor Paolo Maccecchini, classe 1938, atletico anche nella favella locale e sorpreso dall’interesse mediatico nei suoi confronti: interesse del tutto meritato.

«Sono nato a Malnate in casa di contadini; non ho conosciuto il mio papà perché è morto prima che nascessi. Eravamo in tre fratelli. Durante la quinta elementare ho iniziato a lavorare da un prestinaio, al giovedì , il giorno di chiusura della scuola, e alla domenica; a dodici anni don Alberto, il parroco, mi trovò un posto di lavoro a Varese dal ferramenta Rossi,un tempo in via Cavour: ci feci la gavetta fino ai sedici anni, apprendendo i ferri del mestiere, dopodiché per diciannove anni lavorai dal ferramenta Colombo e Marcozzi, in via Sacco, proprio di fronte al Comune».

Il re varesino dei bulloni ha una storia di quelle toste. «Nel 1974 mi misi in proprio aprendo un negozio a Masnago dove c’erano le poste e la sede rimase lì fino al 1985, quando mi sono trasferito in via Monsignor Proserpio dove c’è tuttora il Picard; nel 2000 aprii il negozio di via Oldofredi dove tuttora mi trovo. Ho festeggiato proprio quest’anno i quarant’anni di attività facendo una festa grande con i dipendenti».

Il signor Paolo è in pensione da quindici anni, ma è sempre in negozio: per lui il lavoro è una vera passione, dice la segretaria Marisa. Però, e questo è il bello, l’attività lavorativa viaggia parallela al calcio. Ed è grazie alla pazienza delle sue donne – la moglie e quattro figlie – che Paolo è diventato un’istituzione del pallone varesino.

«Gioco dall’epoca dell’oratorio. A dodici anni sono passato nel vivaio della Malnatese, gloriosa squadra datata 1919, che però nasce ufficialmente come società nel ’36; a diciotto anni ho fatto un esordio in quarta serie con il Malnate. Seguono un anno nel Voghera, quattro nell’Indunese in promozione, quattro nel Mendrisio, il ritorno nel Concagno in prima categoria dopodiché sono diventato il presidente del settore giovanile della Malnatese: tutte le sere mi dedicavo ai miei ragazzi e li seguivo nelle trasferte». Da qui a vestire i panni di presidente della Malnatese è un attimo: Paolo la conduce per trent’anni. Varesino di adozione, otto anni fa si vede arrivare la richiesta da Richy Sogliano, il restauratore del Varese, per fare il presidente del settore giovanile: Paolo accetta con entusiasmo di aiutare l’amico.

Il settore giovanile del Varese viene letteralmente ricostruito partendo dal rastrellamento dei ragazzi, sotto l’egida di Milanese, lo sponsor amico dei giovani.

Si formano allora le nuove categorie: gli Esordienti, dai dieci ai dodici anni, i Giovanissimi sino ai quattordici, gli Allievi sino ai sedici e la Primavera, entro i diciotto; parallelamente il mitico “Caccia” crea la Scuola Calcio dei Pulcini, dai sei ai dodici anni.

«Per me il calcio è una droga – ammette Paolo, che ha giocato fino a quarant’anni. I sei nipotini sono tutti calciatori in erba. Il Varese giovanile diventa una potenza grazie a lui: gioca con le squadre di serie A sfornando promesse come Lazar e tanti altri. Nel 2010 la Primavera arriva a sfiorare il titolo di campione d’Italia nel torneo di Viareggio: viene persa la finale con la Roma immeritatamente».

«E negli ultimi quattro anni si posiziona sempre in centro classifica. Gli allenamenti per tutte le categorie giovanili si svolgono tre volte alla settimana: un lavoro intenso, se si pensa che i giovani contemporaneamente studiano. Ma il Varese da sempre catalizza l’amore dei varesini sin dalla culla; così negli ultimi due anni si ripete la magia dei gloriosi tempi passati e il signor Maccecchini, che per motivi di età ha lasciato la presidenza da tre anni al signor Andreini, lo affianca come volontario in un nuovo progetto: un gemellaggio con venti società dei comuni limitrofi, che portano un forte afflusso di nuove leve.

«Sono i nostri vivai – ammette orgoglioso Paolo – dove facciamo regolarmente i provini e le selezione per il settore giovanile».

«Esiste radicato da sempre nei giovani il mito del Varese Calcio, e della sua squadra giovanile; io che sono nato in provincia lo so bene, per cui li capisco e sono felice di poterli aiutare a costruire il loro sogno, a patto che lavorino sodo sia sui libri sia con il pallone: ci vogliono grinta, costanza e sacrificio per formarsi un avvenire».Con Andreini e Verdelli poi è in atto un progetto importante.

«Abbiamo aperto un vivaio a Bistrica, in Romania, per scoprire qualche buon giocatore e reclutare nuove leve calcistiche: lì il calcio è veramente molto sentito».

«I ragazzi vengono a Varese dai quattordici anni; li alloggiamo in una casa famiglia dove risiedono anche altri giovani che arrivano da altre parti d’Italia: li spesiamo in toto negli studi e negli allenamenti e sono da considerarsi varesini a tutti gli effetti. In tutto sono trenta ragazzi che vivono in una villa, la Casa dell’Atleta, ad Avigno, dove respirano il calcio dalla mattina alla sera e si divertono con calcetto e pingpong». Così alcuni nomi esotici del futuro Varese in realtà hanno una formazione varesina più di tanti altri.

E c’è una cosa che Paolo in particolare vuole dire ai varesini: il Varese Calcio ha fatto la storia della città ma sta vivendo un brutto quarto d’ora.

«Bisogna stare vicini al presidente Laurenza che merita tutto il nostro rispetto. In particolare c’è bisogno di un magnate che ci faccia superare questo momento difficile. Ci sono tanti politici che contano e sono pure tifosi che potrebbero aiutarci: si facciano avanti: lo sport è l’anima della salute».

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