Il lago si può salvare. Ma servono soldi

Innanzitutto il luogo scelto – la diga del fiume Bardello – un simbolo della loro unità e di un passato che non torna: proprio qui si faceva la pesca comunitaria delle anguille, si riunivano tutti i pescatori e si divideva il ricavato.

E poi la presenza della loro guida a dare manforte, quel presidente della Cooperativa che li accorpa e figlio di Natale, il cazzaghese figura storica della categoria.

I pescatori del Lago di Varese – gli ultimi quattro rimasti – hanno aspettato, meditato e solo ieri parlato. La voce è quella del lago perché loro ne sono un pezzo d’anima. Dimenticata: «Salviamolo, noi sappiamo come fare».

Il primo a prendere la parola è proprio l’onorevole Giorgetti: «Tutti hanno espresso opinioni, adesso tocca ai pescatori. Ben vengano le alghe e le macchie – provoca – Così almeno si ricomincia a discutere del lago e di possibili soluzioni per la sua salvaguardia».

L’altro Giorgetti – Paolo, amministratore delegato della stessa Cooperativa – entra nel tecnico: «I problemi su cui agire sono in primis due: il collettore e i singoli scolmatori. Il primo è stato realizzato negli anni ’70 ed è ormai sottodimensionato per il bacino di utenza che serve, diventato almeno il triplo rispetto ai tempi».

Nel collettore viene convogliata la rete fognaria di tutta la parte Ovest: va potenziato. Per quanto riguarda i secondi, la loro inadeguatezza attuale viene svelata dagli agenti atmosferici avversi: «Quando piove in maniera abbondante come in questi ultimi mesi – continua – gli sversamenti di liquami sono all’ordine del giorno, soprattutto a Cazzago Brabbia. Anch’essi vanno rimodernati e dotati di vasche di colmata». Quali sono i costi e chi se ne deve occupare? Alla domanda Giancarlo Giorgetti risponde prontamente: «Gli interventi costerebbero come qualche chilometro di autostrada o se preferite come trenta rondò che vanno tanto di moda oggi. Titolato a proporli è l’Ato, l’Autorità d’Ambito Territoriale, ente che fa capo all’istituzione provinciale e riunisce tutti i comuni interessati».

Perché il lago in questo stato è un pericolo anche in vista di Expo 2015 e se la situazione attuale si fosse palesata durante i Mondiali di canottaggio, l’immagine di città e provincia ne avrebbe risentito: di questo i pescatori sono tutti d’accordo. E aggiungono: «Il nostro bacino non deve essere solo canottaggio – afferma – Rilanciare anche la pesca sarebbe un valore. Invece oggi ci viene una gran tristezza a lavorarci dentro: la puzza si sente fin da 100 metri prima di arrivare alle rive».

L’altro grande cruccio è il carico interno, l’eredità di anni di inquinamento senza protezioni che ha reso il fondo del lago il regno dei fanghi ricchi di fosforo: «Il progetto che prevedeva l’utilizzo del Phoslock è stato fallimentare – commenta , professore del dipartimento di Biotecnologie dell’Università dell’Insubria – Ed aggiungerei meno male perché avremmo il lago pieno di una sostanza nociva. Qualsiasi soluzione non deve passare dal buttare sostanze».

C’è chi invoca il ritorno al pompaggio dell’acqua di fondo di fine anni ‘90: «La si prendeva, la si trattava e la si rimetteva risanata nel fiume Bardello – spiega , ittiologo freelance – Era un sistema che funzionava» Collettore, scolmatori, abbondanti piogge e carico interno: “l’affaire” alghe e macchie non è nient’altro che questo.

Fabio Gandini

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