La leggenda del pianista sul lago

La storia - Felice Todde, nel volume “Dino Ciani, percorsi interrotti”, racconta la vita dello straordinario musicista

Dino Ciani, pianista apollineo, morì nella notte del 27 marzo 1974, a nemmeno 33 anni, mentre tornava nella villa di Sacrofano, vicino Roma, guidando la Triumph “Spitfire IV” prestatagli dall’amico e segretario Sergio Barzotto. Un colpo di sonno, la forte velocità, il fato, che vuole le giovani vittime care agli dei. Non ci restano molte buone registrazioni della sua arte, alcune sono amatoriali altre parziali, ma di certo le sue furono mani prodigiose, guidate da una memoria fuori dal comune e da una sensibilità

spesso visionaria, sensuale e morbosa, con il pianoforte usato come una voce umana, capace di urlare e sussurrare.Musicalmente maturo, suonò anche a Varese il 16 aprile 1962 al Salone Estense, e al nostro territorio rimase legato per parecchi anni, dimorando prima a Besozzo poi – per nove anni – in una villetta di Ranco, nel cui soggiorno poteva studiare guardando il lago, spesso la mattina presto, in vestaglia con tra le labbra la prima delle immancabili sigarette. Come nel caso di Giacomo Puccini e Renato Guttuso, non c’è quasi fotografia di Dino senza sigaretta, la sua droga assieme alle serate con gli amici Maurizio Pollini, Claudio Abbado, Nikita Magaloff, Gianandrea Gavazzeni, Nandi Ostali, alle ascensioni in montagna, i bagni a mare.La leggenda del pianista sul lago rivive in uno splendido libro firmato da Felice Todde, suo amico fraterno, musicologo, compositore, saggista e scrittore, dal titolo “Dino Ciani, percorsi interrotti” (Zecchini Editore, pp. 112, euro 20) da leggere come un romanzo, numerosi sono gli aneddoti e il pathos che traspare dalle pagine. Il libro si apre con il toccante ricordo dell’amica Nandi Ostali, proprietaria della casa musicale Sonzogno, da cui Dino andava a studiare, provando sul Bechstein di famiglia, suonato da Mascagni, Giordano e Cilea, i brani che avrebbe eseguito a Milano. «Di lui mi rimane quello che ho sempre cercato nell’esecuzione di un artista: l’emozione profonda che sa turbarmi o commuovermi o esaltarmi. E Dino… il “suono” di Dino era solo suo, unico, poetico inimitabile, indimenticabile, talvolta sconvolgente, sempre consolatorio».

Nato a Fiume, al tempo italiana, il 16 giugno 1941, figlio di un facoltoso uomo d’affari nel settore marittimo, Dino fu un talento precoce, formato a Genova -dove nel frattempo la famiglia si era trasferita alla fine della guerra – da Martha Del Vecchio, allieva di Casella e Cortot, del quale il giovane pianista diventò allievo e amico. Diplomato come privatista a 15 anni al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, incominciò una intensa carriera concertistica in Europa, collaborando con i più importanti direttori d’orchestra del momento, Abbado, Gavazzeni e Muti, in una serie indimenticabile di concerti, cui seguirono diverse incisioni discografiche. Scrive Felice Todde: «Dappertutto colpiva, nel suo modo di suonare, quel mirare al senso musicale dei brani, la bravura mai fine a se stessa, l’irruenza e insieme la capacità di pianissimi estremi, il suono naturalmente bello, a volte, come dire? “affettuoso” e –cosa rara- la grande varietà di colori». Il centro della sua vita d’artista fu per anni felici la casa di Ranco, acquistata nel 1965, dove aveva trasportato il suo pianoforte Schultze & Pollman su cui preparò gran parte dei concerti e la cui “voce” è rimasta nelle prime registrazioni fatte in famiglia dall’amico Renato Caccamo, alto magistrato (condannò Bettino Craxi per l’affaire della metropolitana milanese) e maniaco delle riprese audio, con uno sterminato archivio, in parte ancora inesplorato, donato poi al Museo della Scala. Qui Dino trascorreva le notti di Capodanno suonando e cantando con gli amici Abbado e Pollini (li univa uno sfrenato amore per la lirica e Verdi), faceva lunghe chiacchierate con il celebre pianista russo Nikita Magaloff, Gianandrea Gavazzeni, il soprano Leyla Gencer, Martha Argerich e Bruno Canino, e spesso partiva in comitiva per raggiungere il vicino ristorante “Il Sole” di Carluccio Brovelli, dove sapeva di trovare piatti raffinati per il suo palato di gourmet. A Cortina, invece, dove la famiglia Ciani possedeva una casa, Dino compiva ascensioni in quota assieme al “vecio” Ettore Costantini, leggendaria guida alpina, oppure sciava con l’amica Nandi Ostali. Nel 1973 Sergio Barzotto convinse l’amico a lasciare la casa di Ranco, destinazione Sacrofano a pochi chilometri da Roma, con la scusa dell’acquisto della villa di un amico del padre di Dino a un prezzo conveniente. Un primo addio agli amici di sempre, disperati e arrabbiati per quella fuga inattesa, e il preludio alla tragedia finale, che privò la musica di una tra le voci pianistiche più alte e originali del Novecento.