«La mia scuola con grembiule e colletti aveva cartelle leggere e amore per i bimbi»

La maestra varesina Maria Antonietta Zocchi compirà sessantasei anni a novembre e ha iniziato a fare supplenze nel ’68, a vent’anni, a Tradate e alla Rasa.

«Sono entrata in ruolo il primo ottobre del ‘69 alla scuola Bareggi di San Fermo, in una prima elementare femminile: allora c’erano ancora le classi maschili e femminili. Si trovava dietro alla chiesa vecchia di Cristo Re, sulla collina in via Abbazia. Era piccola e carina, su un piano, con un bel giardino e tanti alberelli che adesso sono cresciuti tantissimo».

«C’erano solo cinque classi. Nel ’69, con l’immigrazione, costruirono la IV Novembre: le due scuole convissero per un po’ di anni e poi la Bareggi chiuse alla fine degli anni Novanta e le classi convogliate in Valle Olona o alla IV Novembre. C’erano bambini più fortunati ed altri che vivevano situazioni disagiate, però si riusciva a creare un bel clima. Li facevamo spesso giocare in cortile e siccome non c’era la palestra, ci si faceva anche ginnastica e si osservava la natura».

Nel ’71 la maestra Maria Antonietta si trasferisce alla Cairoli e ci rimane fino all’anno della pensione, nel 2005.

«Ero più vicina a casa. La Cairoli era allora era una scuola molto frequentata: in qualche classe avevamo persino quattro sezioni, con trenta alunni di media; anche a San Fermo ne avevo avuti trentatre. L’ampliamento posteriore della scuola, un edificio liberty, fu eseguito proprio nel ’73».

La scuola da quegli anni è stata costantemente oggetto di riforme. «Primi fra tutti vennero i decreti delegati (le sei leggi del ‘73-‘74, ndr) da cui nacquero gli organi collegiali: i genitori, che all’inizio partecipavano volentieri, quando hanno capito che su certi argomenti non avevano potere si negavano anche come rappresentanti di classe«.

»Erano gli anni della maestra unica: era più agevole lavorare senza moduli, si rispettavano i tempi dei bambini, senza sovraffaticarli. Si riuscivano a conoscere meglio i loro problemi, le loro personalità, e a fare lavori più approfonditi dal punto di vista didattico».

Maria Antonietta oggi presta volontariato due volte alla settimana presso la parrocchia di Biumo Inferiore. «Facendo fare i compiti noto che negli ultimi anni la scuola è peggiorata. Ci sono stati molti cambiamenti nei contenuti e nei programmi: una volta c’erano meno nozioni ma era garantita una visione globale in ciascun ciclo e le basi erano più solide».

E si facevano storia e geografia locali. «Nei programmi del ’55 lo studio dell’ambiente era messo in rilievo. Disegnavamo e analizzavamo la cartina del Comune e della Provincia con l’orografia e i bambini imparavano ad astrarre. Giravamo molto nei quartieri e andavamo sul lago, a Velate, sull’isolino Virginia, a Castiglione. I bambini dalle uscite imparavamo tantissimo».

Anche sui nuovi testi scolastici la maestra ha da ridire: «Quando vedo i libri di adesso li trovo veramente brutti. Ci mettono dentro di tutto. Non mi piacciono i troppi fascicoli, i riquadri insistenti: il bambino fa fatica ad organizzare mentalmente la lezione. Prima delle ultime riforme le cartelle erano meno pesanti e i bambini si orientavano meglio nel sapere.

I bambini sono sempre bambini, non è che cambiano a seconda dei metodi: saranno più svegli forse perché sono nativi digitali ma hanno sempre le stesse esigenze, i tempi, i modi».

Sull’organizzazione dei docenti, pure, è critica. «Negli ultimi anni era tutta una riunione, fra collegi e interclasse; quando ho cominciato io c’erano quelle di inizio e fine anno e stop. La programmazione parallela fra le maestre c’è sempre stata, a prescindere da questi organi».

La maestra Zocchi ha insegnato fino a metà dei primi anni Duemila, quando la crisi demografica aveva ridotto drasticamente le classi. «Quando è rimasta una sola sezione, con i moduli la collaborazione è diminuita. Ma anche quando esistevano le classi parallele, col modulo eri presente in entrambe le sezioni e non esisteva più il termine di confronto».

«Quando facevo supplenze, si andava a scuola alla mattina, poi si tornava a casa per un paio di ore e si rientrava per il pomeriggio; il giovedì era libero. Nel ’69 siamo partiti con l’orario unico a Varese: quattro ore e dieci minuti di lezione alla mattina, sabato compreso. Era una scuola meno pesante. I bambini andavano a casa a mangiare; tanto mamme non lavoravano. In generale alla Cairoli erano molto seguiti. I genitori controllavano se avevano studiato e fatto i compiti, senza pretendere di sostituirsi all’insegnante; negli ultimi anni, però, volevano sempre l’ultima parola. Mi sono trovata molto bene con gli immigrati, molto rispettosi della figura del maestro, sia i genitori, sia di rimando i figli. Mi meravigliava come imparassero bene la lingua».

«Io non ho avuto problemi particolari, però ho sentito molto il problema della disciplina: la difficoltà della gestione della classe con tante figure diverse era più marcata e dipendeva molto da com’era assortito il modulo.

La scuola dove Maria Antonietta aveva iniziato ad insegnare era quella col grembiule e dei collettini ricamati, con le feste fatte di torte casalinghe, chiacchiere e tortelli – «con le nuove normative non si poteva più» – l’intervallo lungo e senza informatica e inglese. «Non dubito che sia importante, ma dovrebbe essere introdotto a partire dalla terza elementare, con i meccanismi linguistici dell’italiano già consolidati» spiega la maestra; l’informatica invece alle elementari non la concepisce proprio.

«C’era una cosa della vecchia scuola che però non sopportavo» conclude ridendo: «il fiocco». Lo abolii perché i bambini regolarmente se lo mangiavano».

© riproduzione riservata