Regalatevi il risotto con le rose E dedicatelo al mese dell’amore

Maggio: il mese di Maria, delle mamme, delle rose, dell’amore! Mi piace molto decorare i miei piatti con fiori eduli.

Non tutti lo sono: per andare sul sicuro (e sul nostrano) io uso le violette, le pratoline, i denti di leone (o pissalett), i fiori di rosmarino che in verità stan finendo la stagione; adoro anche fare frittelle impastellando gli ombrelli del sambuco e dell’acacia.

Il glicine no: ci mette così tanti anni a fiorire che mi pare un sacrilegio mangiarlo! I piatti floreali ammiccano alla Belle Epoque e al Liberty, che fan rima baciata con la nostra città.

Così mi piace immaginare Liala mentre assapora un risotto ai petali di rosa, proprio quello tanto amato da D’Annunzio che le regalò le ali nel nome, seduta al ristorante di «uno di quegli alberghi issati sulla cima di un monte e che visti dal basso sembrano attaccati al cielo (…); solitario, maestoso, elegante, ritto in mezzo a boschi, vigilato da rocce, profumato da tutti i fiori di prato, rallegrato da tutti i canti di fronde».

Chiaramente il Grand Hotel Campo dei Fiori, dove prendono alloggio Furio, l’inseparabile amico Mino e la sua dolce Clara con la figlia Emma: e il protagonista di “Signorsì” reca ancora il ricordo della scrittrice Lery – Liala e del suo Pian delle Rose.

Non so se Liala avesse mai gustato il risotto con le rose, ma credo che da buona varesina amasse il risotto, così come amava le rose e in generale i fiori che sottolineano con il loro profumo tante sue pagine, come la buona cucina nostrana, che compare sovente nei suoi romanzi e racconti.

Comunque, se volete provare anche voi a farlo secondo la mia ricetta, scegliete il riso giusto: un Maratelli. Ve lo consiglio non solo perché adoro questo riso e me ne sono spesso occupata, ma anche perché la sua scoperta risale proprio a cent’anni fa: le nostre nonne, grandissime lettrici di Liala, usavano proprio il “Maratello”, che era il riso per antonomasia.

Cercatelo dalla Piera della Copac di via Brunico (il Maratelli di Eusebio Francese) o anche nei supermercati (in questo caso sarà il Nuovo Maratelli di Giovanni Vignola).

Dopo la tostatura in un soffritto leggero nel burro spumeggiante e un goccio d’olio per alzare il punto di fumo (tritate la cipolla finemente), “tiratelo” con un brodo delicato.

A me i brodi vegetali non piacciono: preferisco, in primavera, farli con i quarti di pollo, carota sedano cipolla garofano e un poco di timo (in Valganna sta per fiorire), che regala un aroma soffuso. Spegnetelo all’onda e mantecate con grana e una noce generosa di burro. Infine incorporate i petali delle vostre profumatissime rose rosse che coltivate con tanto amore nel vostro giardino (togliete il peduncolo perché è amaro).

I fiori trattati, assolutamente, non vanno utilizzati in cucina!

Un consiglio che arriva dalla signora Maria Corvi di corso Matteotti, che conobbe Liala personalmente e possiede tanti suoi libri («Era una donna dolcissima, sensibilissima» racconta): mi sono consultata con lei e ha approvato tutto, dal “Maratello” (mi ha suggerito lei di ribattezzarlo così) alle rose. Come vino per sfumare – non mi sono dimenticata -, vi propongo un bicchiere di Pigato, da quella Liguria che Furio, e ancor prima Liala, amavano tanto. Ps: un bacio alla mia vicina Dominique, fornitrice ufficiale di rose!

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