Tredici anni, una malattia grave E le cure mediche le deve pagare

Chi ha una malattia rara non riconosciuta è lasciato solo. Solo anche nelle cure. Perché può capitare che un farmaco usato da sempre, prescritto dai medici da anni, a un certo punto non venga più passato dal sistema sanitario nazionale.

Questo perché non ci sono studi scientifici che ne certifichino la validità nella cura. Studi che forse non si faranno mai, perché i pazienti sono troppo pochi per giustificare un investimento nella ricerca.

Il farmaco in questione è a base del principio attivo flunarizina.

La patologia è l’emiplegia alternante, malattia neurologica grave e molto rara (il gene imputato è stato scoperto nel 2012 grazie a una ricerca finanziata dalle famiglie dei malati). Si contano 500 casi nel mondo, di cui 40 in Italia e 2 a Varese (città che detiene un vero e proprio record di malati per numero di abitanti).

Chi ne soffre è preda di ripetuti attacchi transitori di paralisi che interessano un lato del corpo, o l’altro, o entrambi. L’emiplegia varia da semplice debolezza in una delle estremità, alla perdita del movimento e della sensibilità. Gli attacchi possono durare minuti, ore, giorni o settimane e di norma cessano con il sonno.

«Il farmaco Flunarizina è considerato efficace per alleviare i sintomi, ma in assenza di studi che certifichino questo assunto, il sistema sanitario non lo può inserire in fascia A. Di conseguenza il farmaco non viene passato dal servizio sanitario nazionale ed è a carico delle famiglie» spiega , vicepresidente dell’associazione A.i.s.ea. (associazione italiana per la sindrome di emiplegia alternante) e papà di un ragazzino varesino di 13 anni affetto da questa patologia.

Da qui l’appello: «Chiedo che si faccia un passo di buon senso per riconoscerne l’utilità».

La dose di farmaco Flunarizina che serve a un ragazzino di 13 anni costa circa 19 euro al mese. Ma il dosaggio pediatrico è diverso da quello in commercio, cosa che richiede una specifica preparazione galenica che porta il farmaco a costare il doppio.

Misteriose le cause che hanno portato sei mesi fa alla revoca dell’esenzione per la famiglia di Varese. In Italia ci sono persone che lo hanno sempre pagato. Che, nell’incertezza, il sistema nazionale abbia deciso di unificare la situazione?

«Quaranta euro al mese non è una cifra gigantesca per una famiglia che ha delle entrate, ma bisogna considerare che chi ha un figlio disabile deve accollarsi moltissime spese – continua
, mamma del tredicenne emiplegico – Pensiamo alla scuola: l’obbligo di istruzione prevede 30 ore alla settimana, ma il sostegno può essere garantito solo per 10 ore. E il resto del tempo? Lo deve tamponare il Comune, che di norma non ha soldi. Quindi o si prende un avvocato per sostenere il diritto all’istruzione con il rischio di vincere la causa tra anni e anni, quando il bambino è già maggiorenne. O ci si accontenta».

E ancora: «Ovviamente un genitore fa quello che può per migliorare la vita del proprio figlio. Investe in fisioterapia, attività motoria, sostegno domiciliare. I costi sono elevatissimi. E quando si arriva in farmacia e ci si sente dire che il farmaco, usato da sempre, a un certo punto non viene passato più, ecco quella è la goccia che fa traboccare il vaso. Perché ci si sente soli davvero».

L’emiplegia alternante non è mai stata inserita nell’elenco delle malattie rare, nonostante una petizione mandata alla Comunità Europea.

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