Pensioni, sempre aperto il tavolo delle riforme

L’editoriale di Gianfranco Fabi

Non illudiamoci. Sul fronte della previdenza il tavolo delle riforme continuerà a restare aperto con l’obiettivo di garantire la sostenibilità a lungo termine insieme ad una significativa equità non solo all’interno della popolazione, ma anche tra le generazioni.
Il problema di fondo è che l’attuale sistema pensionistico italiano è stato concepito e varato in anni in cui le caratteristiche di fondo della società erano profondamente diverse da quelle attuali. Anche se la previdenza pubblica è nata alla fine dell’Ottocento

è solo nei primi decenni del secondo dopoguerra infatti che attraverso l’Inps il sistema delle pensioni si allarga a tutti i lavoratori ed è solo alla fine degli anni ‘60 in cui il sistema retributivo, basato sulle ultime retribuzioni percepite, sostituisce quello contributivo nel calcolo delle pensioni. Negli stessi anni nasce la pensione sociale riconosciuta a tutti i cittadini che, anche senza aver versato contributi, hanno raggiunto l’età pensionabile.
Ebbene gli anni ’60 del secolo scorso erano ancora gli anni del miracolo economico, della forte crescita del reddito e soprattutto di una accelerata dinamica demografica: tutti elementi che potevano garantire un corretto rapporto tra contributi (tanti) e prestazioni (ancora relativamente poche).
Rispetto a cinquant’anni fa la dinamica demografica si è dimezzata e nello stesso tempo la speranza di vita è salita di 13 anni passando da 70 a 83 anni. In queste condizioni è inevitabile un progressivo aggiustamento del sistema pensionistico con una revisione delle prestazioni e un aumento dell’età pensionabile, come è avvenuto con le ultime riforme. Con l’effetto indesiderato, soprattutto in un momento di difficoltà economiche, di rendere tuttavia più difficile l’occupazione giovanile. Paghiamo ora la scarsa lungimiranza di chi ci ha governato negli anni ’60, gli anni dell’apertura a sinistra, e che, per offrire condizioni favorevoli per non dire privilegiate (come le baby pensioni e le pensioni d’oro basate su aumenti retributivi a fine carriera) ha innescato quella crescita di un debito pubblico che è diventato una pesante zavorra su tutta l’economia italiana.