Più ristorazione e turismo. Il nuovo volto delle città

La crisi ha modificato le dinamiche economiche, togliendo respiro al commercio tradizionale

La crisi degli ormai dieci anni passati ha cambiato il modo di consumare delle persone e questo sta incidendo negli ultimi anni anche sul volto delle città andando a modificare la composizione delle attività urbane.

Secondo uno studio dell’Ufficio Economico di Confesercenti, nelle città italiane è presente meno commercio tradizionale, ma più ristorazione e turismo. Dal 2007 a oggi, infatti, in Italia sono scomparse oltre 108mila imprese del commercio in sede fissa, il 15% del totale. Attività che sono state parzialmente sostituite da pubblici esercizi e attività ricettive (+63mila, per un incremento del 16,6%).

«Mentre il dinamismo del settore turistico e dei pubblici esercizi è evidente – commenta Patrizia De Luise, Presidente della Confesercenti – il commercio continua a soffrire, schiacciato da una parte da una ripresa della spesa delle famiglie che tarda ad arrivare, ma anche da un trasferimento delle quote di mercato dai piccoli alla Grande distribuzione organizzata dovuto in primo luogo alla liberalizzazione, insostenibile per le imprese familiari e che deve essere ripensata». A incidere, chiaramente, è

anche l’evoluzione tecnologica, che spinge sempre più persone anche verso gli acquisti on-line. Tutto questo, aggiunge De Luise «è il segno che la ripresa del commercio deve passare attraverso il sostegno dell’innovazione: misure vere, inserite nel quadro di Impresa 4.0, che permettano di modernizzare, più che di sanzioni per la mancanza del Pos. Perdere le attività di vicinato sarebbe un danno per tutti, non solo per i commercianti: i negozi sono infatti un elemento fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e per il valore turistico e la fruibilità del territorio. Lo diciamo da anni: se vive il commercio, vivono le città».

Secondo lo studio della Confersercenti la riduzione dei negozi non ha colpito in egual misura tutte le tipologie di impresa. Sono state infatti le imprese attive nel commercio di tessili, abbigliamento e calzature a pagare lo scotto più alto: dal 2007 se ne contano circa 40mila in meno. Giù anche i negozi di ferramenta e materiali per costruzioni (-9.834) e giornali (-3.926), mentre, tra i dati positivi, si segnala l’aumento del numero di tabaccherie (+4.749) e dei negozi di informatica e telecomunicazioni (+2.216) e, soprattutto, delle attività commerciali fuori dai mercati e dai negozi: le imprese di commercio porta a porta, online, e vending machine sono oltre 18mila in più, con una crescita di oltre l’82,5%. A scendere nel decennio, nonostante la crescita degli ultimi anni, anche il numero di ambulanti (-17.587). «A dare un colpo al commercio, oltre la recessione, è stato anche il regime di deregulation dei giorni e degli orari di apertura introdotto a partire da gennaio 2012 – sottolinea la Confesercenti -. Una liberalizzazione insostenibile per i piccoli, e che ha favorito la grande distribuzione, la cui quota di mercato nel periodo è passata dal 57,7 al 60,2%».

Al contrario, sul fronte dei pubblici esercizi e del turismo, invece, si assiste ad una crescita di quasi tutte le tipologie. Dal 2007 ad oggi aumentano i ristoranti sia le imprese di ristorazione che gli hotel e le altre attività ricettive complemenetari. Particolarmente rilevante la crescita di B&B e affittacamere: solo negli ultimi cinque anni hanno registrato un incremento del 56%, e si prevede che, da qui al 2021, il numero sia destinato a salire ancora del 23%. Una piccola rivoluzione che interessa anche la nostra provincia, dove la percentuale dei B&B rappresenta circa il 70% dell’intera ricettività turistica.