Sulle unioni civili le gerarchie ecclesiastiche hanno scelto il realismo. Ci sono fedeli che se ne sorprendono, altri che no. La maggior parte comprende e apprezza, la minoranza fatica a capire e però se ne fa una ragione. La Chiesa prende atto che c’è da rispettare una legge dello Stato italiano. E la rispetta. Indulge in un’ulteriore riflessione: i tempi sono cambiati, i cattolici pure. Non perché abbiano modificato i loro convincimenti, ma perché accettano con spirito secolare quelli altrui.
Non s’indignano se due omosessuali fruiscono dei diritti (1) di reciproca assistenza sanitaria/carceraria, della comunione/separazione dei beni, della reversibilità di Tfr/pensione, del subentro nell’affitto; né si meravigliano se sono tenuti ai doveri (2) di qualunque coppia sposata. Prevale ciò che un prete varesino ha confidato agli amici in una serata ferragostana: tradizionalisti e progressisti sono marginali frange di un “corpus” centrale che privilegia l’attenzione all’anima popolare. Il motivo che spinge la Chiesa a non innalzare un muro contro le “nozze gay” è l’incomprensione ch’esso incontrerebbe tra molti (troppi) fedeli, ai cui occhi questo tema non vale una guerra santa. Pericolo/timore di una perdita d’identità religiosa a causa della svolta civile/sociale? Affatto. Il radicamento cristiano si esprime, oggi più di ieri, attraverso l’impegno sociale, la dedizione al volontariato, l’accoglienza verso i profughi. Le declinazioni del bene sono tante, basta riconoscerle e praticarle. Irriconoscibile sarebbe un diverso indirizzo pastorale, impraticabile una differente traduzione dell’insegnamento evangelico.
Direttore RMFonline.it