Varese, maxi operazione anti usura stroncata la “banda degli strozzini”

VARESE Un sodalizio criminale dedito all’usura e alle estorsioni: più di trenta le vittime dei reati, 500 mila euro il volume d’affari. Questo il bilancio della maxi operazione condotta dal nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Varese che, partita da un’indagine avviata nel maggio 2010, si è conclusa con cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di appartenenti a un sodalizio criminale dedito all’usura,

alle estorsioni e al riciclaggio nelle province di Varese e Milano.
Per il capo dell’organizzazione è scattata anche l’accusa di “illecita attività di intermediazione finanziaria”, poiché esercitava abusivamente l’attività di concessione di finanziamenti. L’attività di indagine, coordinata dal sostituto procuratore Raffaella Zappatini, era scattata dalle vicissitudini di una vittima di usura che, costretta a trovare rifugio lontano dalla propria abitazione per difendersi dalle intimidazioni degli “strozzini”.
Le indagini hanno consentito poi di individuare la rete di estorsori che, approfittando del forte potere intimidatorio esercitato dal capo dell’organizzazione (originario del catanese e noto per i suoi precedenti penali che lo hanno visto coinvolto in alcune tra le attività investigative di maggior rilievo degli anni scorsi, specie in materia di spaccio di sostanze stupefacenti). Il “capo” trattava direttamente con le vittime di usura, le quali si rivolgevano a lui con deferenza e rispetto; al “boss” si affiancava poi una rete di “intermediari” che agiva solo su specifica delega, gestendo di volta in volta le vittime che venivano loro assegnate, ad esempio quando il capo trascorreva periodi di vacanza nella sua abitazione di Lido delle Nazioni, in provincia di Ferrara. A loro, a quel punto, il compito di occuparsi delle operazioni di ricossione.
Gli incontri avvenivano in “uffici volanti” ma spesso e volentieri si optava per un bar di Busto Arsizio. Il sodalizio individuava le vittime prevalentemente tra piccoli imprenditori – talvolta a rischio di fallimento – e in nuclei familiari in gravi difficoltà economiche. A questi, dopo aver beneficiato di prestiti (da 4 a 60mila euro), applicavano tassi che superavano il 20% mensile e il 200% annuo.
Complessivamente è stato verificato un volume d’affari pari ad oltre 500mila euro. Oltre 30 sono le vittime accertate dei reati. In diverse occasioni i debitori, in preda alla disperazione, sono stati costretti a far contrarre ai propri familiari ulteriori debiti, oppure si sono dovuti rivolgere ad amici e parenti per ottenere denaro in prestito. Le richieste di denaro avevano una accelerazione verso la fine di ogni mese, quando le “scadenze contrattuali” prevedevano il rientro degli interessi e/o dei capitali.
Il sistema adottato dalla banda era quello tipico del “cappio usuraio”: spesso i debiti venivano “prorogati” mediante il versamento dei soli interessi mensili, con l’effetto collaterale di prolungare “l’agonia” finanziaria della vittima, fino a portarla alla cessione dell’attività. Il sodalizio proponeva anche metodi di pagamento alternativi: sono infatti al vaglio degli investigatori le compravendite di alcuni immobili di proprietà delle vittime in rinomate località turistiche sia di mare che di montagna – nelle province di Varese, Milano, Novara e Catania – sulle quali c’è il sospetto che possano essere state cedute a saldo del debito tramite operazioni fittizie. In altri casi i debitori sono stati costretti a prestazioni lavorative gratuite in alcune imprese edili riconducibili – direttamente o tramite prestanome – all’organizzazione, alle quali talvolta è stata altresì garantita la fornitura gratuita di materiale edile vario.
E proprio nel settore dell’edilizia avveniva il riciclaggio del denaro, sia attraverso imprese direttamente riconducibili ai membri dell’organizzazione che attraverso false fatturazioni emesse tramite imprese compiacenti. Alcuni soggetti, in corrispondenza delle scadenze, hanno anche cercato di sottrarsi all’azione assillante del “boss” e dei suoi “soci”, non rispondendo più alle chiamate. Ma il capo dell’organizzazione è sempre stato comunque in grado di raggiungerli, per “ricordare” le condizioni da rispettare, aumentando così lo stato di totale sudditanza delle vittime.
L’attività di riscossione era affidata principalmente ad un soggetto vicino al “boss” (che lo definiva “nipote”), che entrava in scena dopo che lo stesso capo, attraverso minacce più o meno velate, costringeva le vittime a restituire il prestito usuraio. L’estrema spregiudicatezza del sodalizio è dimostrata da riscontri investigativi, che hanno consentito di verificare –i n varie circostanze – la volontà di alcuni di dare luogo anche ad azioni minatorie eclatanti, come ad esempio incendiare le attività delle vittime morose. In alcuni casi è stato lo stesso “boss” a fermare l’irruenza di qualche suo correo, convinto di poter risolvere la situazione con un suo diretto intervento, salvo poi rendersi in prima persona protagonista di episodi di violenza: in una circostanza infatti ha colpito violentemente al volto un usurato in forte ritardo con i pagamenti, causandogli la rottura del setto nasale e la perdita di un dente.
Non sono mancati neanche episodi di cinico scherno a danno delle vittime: emblematiche sono alcune intercettazioni che riportano i commenti sulle condizioni di un soggetto che si aggirava a bordo di una bicicletta alla disperata ricerca di denaro da consegnare agli “strozzini”. Lo stato di soggezione era tale che alcune delle persone offese, per timore di più gravi ritorsioni, non hanno collaborato rischiando di rispondere anche per il reato di favoreggiamento. Negli ultimi due anni l’azione di contrasto all’usura e alle estorsioni è stata una priorità strategica del Comando Provinciale di Varese. Numerose sono state le operazioni contro questi reati, che hanno visto complessivamente l’arresto di 179 soggetti e la denuncia per altri 96 indagati.

s.bartolini

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