Frontalieri pagati in euro Ingiusto ma è tutto legale

LAVENA PONTE TRESA Dumping salariale, frontalieri e pagamenti in euro. Sono questi gli argomenti caldi in questi giorni nell’universo produttivo e politico ticinese. Tutti legati tra loro, dopo l’aumento delle segnalazioni dei varesotti e dei comaschi che lavorano in Svizzera: vengono pagati in euro dai datori di lavoro che, in questo modo, risparmiano grazie al rapporto tra super franco e euro debole.

La pratica è contestata, ma è perfettamente legale. Lo ha infatti sottolineato il Consiglio di Stato ticinese. Le disposizioni del codice civile che regolano il pagamento dei salari sono infatti «di natura dispositiva e non imperativa». Questo significa che, fatto salvo l’accordo fra le parti, si può pagare i salari in euro invece che in franchi E proprio da qui parte l’iniziativa parlamentare del Partito socialista ticinese, che vuole bloccare questo fenomeno, evitando così discriminazioni tra lavoratori e soprattutto concorrenza sleale.

«L’obbiettivo – fanno sapere dal Ps elvetico – è quello di modificare il Codice delle obbligazioni in modo che il salario sia imperativamente pagato in moneta legale, ossia in franchi svizzeri. Negli ultimi mesi, infatti, sono stati registrati casi di versamento del salario in euro. In Ticino alcune ditte, che sembrerebbero aver pagato i salari in euro, sono inoltre al vaglio della commissione tripartita che monitora il sistema del lavoro. Si tratta però di pratiche che, se estese, potrebbero generare un rischio accresciuto di dumping salariale, in particolare nei cantoni di frontiera. Infatti i datori di lavoro avrebbero interesse ad assumere lavoratori frontalieri, pagarli in euro, e quindi con salari inferiori rispetto ai salari che pagherebbero ai lavoratori svizzeri in franchi. E le prime vittime sarebbero i lavoratori residenti in Svizzera».

Così si lavora per vincolare la divisa statale al pagamento dei dipendenti. Ma non solo. Perché con una mozione depositata nell’ultimo giorno della sessione estiva, Fulvio Pelli, esponente del Partito liberare radicale ticinese, chiede al Consiglio federale di introdurre «la base legale per poter sanzionare in modo adeguato le violazioni dei contratti normali di lavoro». Nel mirino ci sono i cosiddetti “lavoratori distaccati”; ovvero dipendenti di ditte straniere, italiane in primis, che lavorano in Ticino. «In questo settore è altissimo il rischio di salari più bassi dalle regole minime esistenti in Svizzera – sostiene Pelli – e senza un adeguamento della legislazione federale che sanzioni gli abusi non è possibile ottenere il rispetto delle norme imposte dai cantoni. Per questo bisogna intervenire per la creazione di una base legale per consentire il deposito di cauzioni da imporre alle ditte estere. In modo da garantire l’incasso di eventuali multe, dovute a violazioni degli obblighi dettati dai normali contratti di lavoro».
Alessio Pagani

e.marletta

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