«Un grandissimo poeta contro la barbarie»

La storia e i versi di Andrea Zanzotto, voce straordinaria, raccontato da Dino Azzalin

Dentro i misteriosi armadi cassaforte del “Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei” di Pavia ci sono anche le carte di Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011).

Poeta tra poeti di epoche vicine e lontane che qui trovano casa, come Foscolo, Saba, Montale, Quasimodo, Gatto, Pasolini e Fortini. Le sue liriche di fianco ai manoscritti dei romanzi di grandi scrittori come Carlo Levi, Gadda, Morselli e Parise, di cui Zanzotto era amico.

«Molti scrittori parlano di silenzio mortale in quello che fu un campo di battaglia – scriveva Maria Corti, ideatrice del Fondo pavese, nello straordinario affresco narrativo “Ombre dal Fondo”, Einaudi,1997 – dove dopo tanto travaglio amici e nemici, senza essersi mai conosciuti, stanno lì sulla terra cadaveri uno appresso all’altro. Mentre i corpi degli scrittori riposano lontano sottoterra, i testi continuano a richiamarsi l’un l’altro, una guerra senza fine in cui tutti credono di essere dalla parte del nuovo,

formalisti e contenutisti, avanguardie e antiavanguardie. Dagli epistolari poi arriva ancora un gran brusio di voci, un frastuono di incontri scontri». La voce dalla inequivocabile cadenza veneta di Andrea Zanzotto, nato a Pieve di Soligo nell’ottobre del 1921, è arrivata a Pavia in virtù dell’amicizia con la Corti, come spiega Maria Antonietta Grignani, attuale direttrice del Fondo in “dirti Zanzotto” a cura di Niva Lorenzin e Francesco Carbognin, Nuova editrice Magenta: “Zanzotto, per amicizia con Maria Corti e fiducia nell’archivio che lei andava mettendo insieme, dai primi anni Settanta prese a consegnarle i materiali elaborativi di alcune sue raccolte poetiche: “Gli Sguardi i Fatti e Senhal”, uscito per la prima volta nel 1969; “Filò” (1976), che aveva composto per il “Casanova” di Fellini”. L’essere nato e quasi sempre vissuto a Pieve di Soligo, poco al là della riva sinistra del Piave, in provincia di Treviso, ha influenzato molto la poetica e la sua vita, fatta di intensa vitalità, incontri umani e intellettuali, come l’amicizia con scrittori veneti a lui vicini, come il citato e più giovane Parise e il più anziano Comisso, e altrettanto intense solitudini. La sua “scoperta” risale al premio San Babila, che gli fu conferito, nel 1950, a Milano da una giuria di poeti del calibro di Montale, Ungaretti, Quasimodo e Sinisgalli per una raccolta di poesie scritte, tra il 1940 e il 1948, “Dietro il paesaggio”, poi edita da Mondadori l’anno successivo. «La nostra amicizia è nata semplicemente da una lettera che gli mandai, per dirgli che il suo libro “Beltà” mi era piaciuto molto» racconta il poeta e amico di Zanzotto, Dino Azzalin, fondatore della Nuova Editrice Magenta: «Zanzotto mi rispose con una cartolina che conservo ancora, in cui mi ringraziava, era il 1986 – 1987, fui con lui quando ricevette poi, a Bologna, la laura honoris causa». Anche Zanzotto prese parte alla notte dei poeti, nel 1993, ricorda Azzalin: «dopo il suo intervento, Buffoni disse che non se la sentiva di leggere i suoi versi, perché, dopo un personaggio di tale portata, era impossibile fare qualcosa di più interessante».

«Era un poeta straordinario – racconta ancora Azzalin – voleva salvare il dialetto, coacervo di visioni e tesoro della letteratura italiana contemporanea, difendeva il paesaggio dalla barbarie di un sistema che seviziava la terra, come le guerre. Aveva un forte attaccamento al territorio e una mente cosmopolita, interagiva con il mondo, mentre insegnava la tridimensionalità della parola».

Il legame tra Andrea Zanzotto e Varese risale però ai tempi della “vecchia” editrice Magenta, agli anni di “Quarta generazione”, alla giovane poesia, raccolta da Piero Chiara e Luciano Anceschi, in cui compare, nelle sue liriche, il suo paese di Soligo, l’acqua, le colline, i cieli e la luce del sole. La poesia aveva, secondo il poeta veneto, il potere di resistere contro la distruzione che si perpetra sotto i nostri occhi. Raccontava Zanzotto a Varese, durante un incontro con Enrico Baj, condotto da Azzalin, al Salone Estense, in occasione del suo ottantesimo compleanno: «La poesia c’è, comunque: finché dura il palpito, finchè dura il battito del cuore, finché dura il ritmo del respiro, mi auguro che duri anche il ritmo del mistero e del non – mistero della realtà, il ritmo della memoria e dell’oblio, della chiarezza e della tenebra che entrano in un continuo vortice di tentativi di comprendersi e comunque danno origine a questa spinta che è propria di tutte le arti, ma della poesia in modo particolare, non perché la poesia sia superiore, ma perché mette in gioco anche la parola».