Aldo Ossola: «Ma dove li hanno presi?»

Le cifre certificano la crisi di Varese, ultima e sballottata nel derby: la leggenda e la città non ci stanno. «Figuraccia di una squadra sbagliata: salvo Ukic. Subito un lungo per i rimbalzi. E sgobbare in difesa»

«Davanti alla televisione ho detto parecchie parolacce». A naso verrebbe da pensare che le manifestazioni verbali di dissenso non siano state solo una prerogativa di , nella domenica sera del derby tra Milano e Varese. C’è un però: alla storia non si può chiedere di toccare la storia. Nel day after alla caduta della Openjobmetis Varese contro i quotati cugini milanesi, i dubbi e i timori occupano la mente. La seconda sconfitta in campionato su due partite corrobora le angosce tecniche che già la debacle contro Caserta aveva lasciato in eredità, pur in presenza di alcuni miglioramenti – in termini di abnegazione, orgoglio e anche gioco – che però solo il primo tempo del match ha lasciato intravedere.

Ne parliamo con Ossola: se per un tifoso normale la sconfitta patita è preoccupante soprattutto in prospettiva, per chi ha lottato in derby che hanno costruito l’epopea varesina è più difficile far passare in cavalleria i 28 punti subiti dagli “odiati” avversari. «Sì, purtroppo ho visto tutto – è l’ammissione del Von Karajan del basket italiano – E mi girano parecchio le scatole a perdere contro Milano. In realtà non so nemmeno se sia il caso di dare ancora valore a una partita del genere: oggi lo spirito non conta più

nulla, la differenza la fanno solo i valori in campo, come in tutte le altre gare». Si è visto, effettivamente: «a parte, gli altri giocatori continuano a convincermi poco o nulla. È vero che bisogna dare tempo, altrettanto che spero di rimangiarmi ogni critica: ma mettere insieme singoli del genere mi pare possa essere un’impresa disperata per l’allenatore. Dove sono andati a prenderli?». Meglio argomentare, prima di essere tacciati di disfattismo un tanto al chilo: «Sotto canestro i lunghi avversari hanno fatto quello che hanno voluto – continua Ossola – contro i nostri che assomigliavano a dei ragazzini alle prime armi. Il dato a rimbalzo è incontrovertibile: puoi anche fare il tagliafuori come si deve, ma se non hai centimetri e chili da opporre non vai da nessuna parte. Serve un lungo, subito». E ancora: «persevera nel dimostrarsi totalmente spaesato: domenica perdeva palla, scivolava, ciondolava per il campo. Ma la cosa peggiore io l’ho vista nel collettivo: come si fa a difendere così male? Molti giocatori non piegavano le gambe, perdevano gli uomini un’azione sì e l’altra pure. E in attacco non sapevano cosa fare».

Tutto talmente brutto e preoccupante da non essere vero? «Secondo me c’è qualcosa che non va, qualcosa che è forse intervenuto strada facendo. Io non credo che e possano aver fatto scelte così errate: se hanno preso certi atleti, significa che da qualche parte li hanno visti giocare bene. “Buchi” del genere non sono possibili». L’irrealtà del pensiero contrasta con la nudità delle cifre. Il basket è uno sport di numeri che non mentono quasi mai. Dopo due giornate, al netto del posticipo Cantù-Sassari, la Openjobmetis Varese è ultima in classifica a causa del quoziente punti, ha il peggior attacco della serie A ed è in fondo alla graduatoria per valutazione (52,5 di media contro i 103 di Reggio Emilia) e percentuale da due punti (37,5%), penultima nel tiro da tre (23,9%, dopo il 20,6 di Capo d’Orlando), ultima nei tiri liberi tentati (solo 11 a partita, altro sintomo di scarsa pericolosità offensiva) e penultima nei falli subiti (16,5 a gara, poco meglio dei 15 di Pesaro).