Andare a giocare negli Stati Uniti? Dietro al sogno c’era la truffa

Le Iene hanno intervistato il giornalista di Sprint&Sport Basso, il primo ad occuparsi dei raggiri

Il sogno è quello comune a milioni di ragazzi italiani, disposti come per tutti i sogni a sacrificare qualcosa per poterlo realizzare. Se però, dietro al sacrificio – che nel caso specifico è di tipo economico – si nasconde qualcuno che gioca coi sogni altrui allora le cose non vanno proprio bene.

È successo a Milano, ma anche in Umbria, Campania e in giro per il Belpaese. Dietro i sogni ci sono centinaia di ragazzi italiani, dietro la truffa resa nota da “Le Iene” mercoledì sera c’è sempre la stessa persona. Indagini in corso, sia chiaro, ma troppe cose non vanno come dovrebbero.

«La storia comincia nel novembre 2015 – ci racconta il collega di Sprint&Sport Vincenzo Basso, il primo a interessarsi e approfondire la questione – quando sul web hanno cominciato a spuntare annunci legati alla possibilità di fare dei provini per poter andare a giocare negli Usa da professionisti. Le location erano diverse, alla fine dei conti sono state almeno 15 con la presenza di circa 25 ragazzi per ogni data, il costo di iscrizione per ogni provino era di 100 euro ciascuno».

Sogno a stelle e strisce? No, truffa tricolore. «Non era richiesto certificato medico o una assicurazione, nulla di nulla – continua Bassi – il denaro pagato dagli atleti doveva servire per coprire i costi del campo, almeno ufficialmente, peccato che il denaro veniva mandato dagli allenatori. I requisiti erano semplicissimi: avere dai 16 ai 30 anni, la promessa era quella della serie B o C americana ad almeno 2.500 dollari al mese di stipendio».

Allenatori consenzienti e parte della truffa? Nient’affatto. «In un primo momento pensavamo così – racconta ancora il collega Basso di Sprint&Sport – in realtà la truffa avveniva su due livelli: il primo riguardava i calciatori, il secondo gli allenatori che erano in assoluta buona fede e facevano effettivamente i provini con l’intento di mandare ragazzi negli Stati Uniti».

Le continue segnalazioni e i servizi sulla testata, perdurati per un anno e mezzo, hanno dato il via alle indagini e hanno portato all’imputazione di reati che vanno dalla sostituzione di persona alla ricettazione, senza dimenticare la truffa: «Il soggetto utilizzava falsi nomi, nel momento della perquisizione da parte dei carabinieri sono stati trovati documenti falsi che effettivamente hanno dimostrato la tesi dell’accusa; il denaro veniva mandato sulla carta Postepay della compagna dell’organizzatore che, ad un primo riscontro, risultava assolutamente estraneo alla vicenda» ha concluso Basso.

Attualmente le misure cautelari prevedono l’obbligo di dimora anche se le pene detentive potrebbero essere molto più salate; la storia però insegna più di una lezione perché non si può giocare con i sogni delle persone, ma è altrettanto vero che, a ben vedere, tante cose nella vicenda non quadravano.

Da quanto ci è dato sapere nessuna delle vittime ha sporto denuncia, forse perché per 100 euro non aveva neanche senso andare a intavolare lunghi discorsi legali con costi degli avvocati che avrebbero superato abbondantemente il danno subìto. Fortunatamente però giustizia è stata fatta, almeno così sembra.