Giovane grandeur: «Varese come Real e Barça»

Il progetto per il settore giovanile della Pallacanestro Varese raccontato da Ponti, Colombo e Rusconi. L’accordo in vista con il Partizan, il reclutamento, le strutture, il budget: una rivoluzione spiegata in nove punti

Giocatori e strutture, reclutamento e principi etici, budget e accoglienza: il nuovo progetto giovani della Pallacanestro Varese spiegato con dovizia di particolari e direttamente dalle parole di chi lo edificherà.

Gianfranco Ponti, consigliere d’amministrazione con delega al settore giovanile, Fabio Colombo, responsabile del settore giovanile e del minibasket, e Dodo Rusconi, responsabile tecnico, dopo aver illustrato al cda biancorosso le linee guida di quella che sarà la loro azione futura, raccontano anche pubblicamente quello che hanno in mente per la base agonistica del settantennale sodalizio cestistico cittadino.

Il percorso è iniziato a luglio, con il subentro di Ponti: dove vuole arrivare lo scoprirete nelle righe seguenti.

Cominciamo da un risultato che ha dato plasticità ai primi mesi di lavoro, tecnico più che societario nel caso specifico. L’under 18 della Pallacanestro Varese allenata da coach Rusconi ha superato brillantemente la prima fase del campionato, qualifincandosi per quella interregionale. Un traguardo non scontato, soprattutto perché arrivato dopo un incipit non promettente: -23 in casa contro i cugini della Robur, che per la cronaca alla fine del girone sono arrivati dietro ai virgulti biancorossi.

«Abbiamo iniziato per forza di cose tardi e in mezzo a diverse difficoltà, con un gruppo di 16 ragazzi che si è ridotto subito a 14 per il passaggio di due giocatori alla Robur (Iaquinta e Calzavara ndr) – spiega Dodo Rusconi – Siamo entrati sapendo che il focus dell’attività era quello di preparare i nostri giovani a un possibile futuro in serie A e quindi con l’esigenza di allenarli in modo diverso rispetto al passato. Come? Come si allenano i professionisti. La differenza sta nell’approccio, nell’insistere sull’attitudine difensiva, perché è la difesa che ti insegna a giocare in attacco. E poi, prima di ogni altro aspetto, conta la preparazione atletica: bisogna correre più degli altri, nel basket come in quasi tutti gli altri sport. Credo in questo fin da quando allenavo in Serie A: potevano darmi giocatori anche modesti tecnicamente, ma attraverso il lavoro sulla preparazione riuscivo a portarli a un livello superiore».

Per l’under 18, e per tutte le altre selezioni, il percorso di crescita attraverso la nuova filosofia non sarà breve: «Il lavoro è stato per il momento impostato sull’ultima selezione – continua Rusconi – ma si cercherà di estenderlo anche alle under più verdi con la collaborazione degli altri allenatori: sarà un processo che richiederà tempo e punterà a dare un’organizzazione tecnica coordinata dalla base fino al vertice del settore giovanile».

«Grazie a Rusconi e Colombo – interviene Ponti – il progresso dell’under 18 è stato rapido: partire da quel -23 e arrivare alla partita contro Legnano di questa settimana con la qualificazione già in tasca, eliminando Cantù e Robur, per me rimane una grande soddisfazione. Aggiungo che non ci siamo pianti addosso dopo aver perso Iaquinta e Calzavara, ma anzi abbiamo dato il benestare affinché gli stessi giocassero contro di noi durante la prima gara. Per ciò che concerne il lavoro societario mi preme ringraziare anche Claudio Coldebella, Toto Bulgheroni e Attilio Caja, sempre disponibili a venirci incontro nelle necessità della nostra attività».

Entriamo nel vivo del progetto. Prima la meta dichiarata, poi la strada: «L’ambizione è di creare un settore giovanile che risponda agli standard di club blasonati come Real Madrid, Barcellona, Stella Rossa e Partizan, società con la quale a breve annunceremo un accordo di collaborazione – afferma l’imprenditore angerese – Non sarà facile, ma non saremo contenti se Varese non sarà almeno tra i primi tre vivai in Italia».

Quattro le parole chiave: soldi, strutture, persone e conoscenza. Le ultime due afferiscono sia al capitale umano già in dote, sia a quello che verrà aggiunto tramite proficue collaborazioni con l’area della ex Jugoslavia. La base è stata posta: tre viaggi in Serbia, una spedizione slava a Varese di cui i giornali hanno già dato conto. «I vertici della nostra struttura hanno fatto un’ottima impressione agli addetti ai lavori che abbiamo incontrato. In Serbia ci hanno detto: “Avete un vero diamante e si tratta di Rusconi: allena come un allenatore serbo”. Loro conoscono il nostro passato e considerano Varese un brand ancora importante. Pertanto ci aiuteranno non solo permettendoci di avere dei loro giocatori da crescere, ma anche attraverso un interscambio di conoscenze, metodi e abilità, in particolare nel campo della preparazione atletica nel quale – per cura dei dettagli e professionalità – non sono secondi a nessuno. La strada è molto lunga ma ha un punto di arrivo: presentare a qualunque ragazzo, italiano o straniero, che dovesse scegliere la Pallacanestro Varese per costruire il suo futuro agonistico un’organizzazione pari alle squadre sopracitate».

Perché puntare anche (e sull’anche si veda il prossimo punto) sugli atleti stranieri? È sempre Ponti a ragionare a voce alta: «Perché attraverso la “contaminazione” con giocatori esteri che siano competitivi potremo far crescere meglio anche quelli italiani. L’obiettivo sarà di avere due stranieri per squadra (che è anche il limite imposto dal regolamento ndr) in ogni selezione, dall’under 13 all’under 18. Ci guadagniamo noi, ci guadagnano loro: con quattro anni di formazione trascorsi in Italia, questi giovani potranno diventare sportivamente italiani e avere prospettive più ampie per la loro carriera. Abbiamo appena raggiunto degli accordi di massima e contiamo di portare a Varese già due ragazzi nei primi mesi del 2018 (il termine ultimo per i tesseramenti è il 18 febbraio, ndr), in modo tale da non perdere la possibilità di iniziare il lavoro a partire da questa stagione agonistica. I tempi, però, sono corti e gli aspetti burocratici da affrontare sono molteplici. Aggiungo che non punteremo solo sugli atleti serbi o dell’area della ex Jugoslavia, ma anche al mondo ex sovietico e altrove».

Estero ma anche Italia, perché le mire del reclutamento non saranno solo “esotiche”. Lo dimostrano due colpi già andati in porto. Il primo, quest’estate, risponde al nome di Lorenzo Naldini, prelevato da Cernusco sul Naviglio. Il secondo è Benjamin Noble, prospetto classe 2004 fresco di convocazione nel programma del Centro Tecnico Regionale curato da coach Guido Saibene, acquistato da Malnate: «Siamo riusciti a trovare un accordo con loro – afferma Fabio Colombo – Siamo contenti noi e sono contenti loro: è importante anche contare sulla soddisfazione delle società di provenienza».

Il reclutamento, però, è un processo che non ha a che fare solo con il parquet. Dietro a un ragazzo, soprattutto straniero, che si trasferisce per iniziare una parabola nel basket ci sono tanti aspetti delicati da considerare. In primis la scuola: «L’aspetto scolastico per noi è e sarà fondamentale – continua Colombo – Siamo stati all’istituto Daverio Casula e abbiamo parlato con la preside Pizzato, la quale a braccia aperte ha sposato la nostra causa. Ciò significa che i giocatori che verranno da noi potranno frequentare questa scuola e anche il progetto che la stessa ha intrapreso con gli studenti stranieri in Italia. Stare in una classe con i pari età italiani può, almeno all’inizio, essere controproducente per un giovane straniero: il primo obiettivo deve essere quello di imparare l’italiano e tramite tale percorso specifico i nostri ragazzi saranno facilitati nel farlo. Al Daverio abbiamo trovato la collaborazione cercata, ma siamo in contatto anche con altre scuole con le quali avanzeremo il nostro progetto».

Altra domanda di precipua importanza: dove andranno ad abitare i ragazzi reclutati e chi si occuperà di loro? Nel futuro c’è la creazione di una foresteria, nell’immediato il coinvolgimento delle famiglie: «Strada che considero migliore almeno per quanto riguarda i primi tempi del trasferimento – argomenta Gianfranco Ponti – Una volta ambientati possono anche andare in foresteria, ma ritengo che anche per un genitore sia più tranquillizzante l’accoglienza in famiglia». C’è un altro elemento da non sottovalutare: «Un punto a nostro favore sono le dimensioni di Varese. Per un padre o una madre è meglio mandare un figlio di 14 anni in una metropoli come Madrid, Barcellona o Milano o in una cittadina a misura d’uomo come la nostra?».

Andiamo oltre. Rapporti con le società terze ed etica nelle trattative è un altro argomento evidenziato dalla nuova triade a capo del settore giovanile biancorosso: «A volte il problema sono i genitori, che si intromettono tra le società – è di nuovo Colombo a parlare – Non va bene: i genitori facciano semplicemente i genitori. Trovo assurdo che un padre venga da noi a dire “mio figlio gioca in un’altra squadra e vogliamo portarlo da voi”, cercando un accordo. E considero alla stessa stregua il contrario, cosa che abbiamo subìto sulla nostra pelle. Bisogna eliminare queste pratiche. Se a noi piace un giocatore, parliamo con la sua società: la famiglia poi deciderà, ma non sarà il primo interlocutore. Il cambiamento etico è fondamentale, anche per evitare gli screzi che ci sono stati negli ultimi anni».

Quello delle strutture è capitolo da cerchiare in rosso, perché «la loro disponibilità e qualità rendono credibile un progetto. E chi collaborerà con noi dall’estero pretende un upgrade importante sotto questa prospettiva» dice Ponti.

Attualmente a Varese non esistono luoghi per fare sport in linea con le nuove ambizioni della Pallacanestro Varese: bisogna costruire. La zona sarà quella di Calcinate degli Orrigoni, vicino alla “cittadella sportiva” che al momento conta campi da calcio, di atletica e da beach volley: «Abbiamo più volte incontrato il Comune – afferma il “ministro” dell’attività giovanile varesina – e stiamo aspettando una conferma sugli spazi che avremo a disposizione per realizzare le nostre idee, che sono in primis quelle di edificare una palestra che sia anche la nostra sede e una foresteria vicino a essa. Serve una superficie ampia e dalla risposta del Comune capiremo se quello individuato è il posto adatto. Il progetto degli architetti è già nero su bianco, abbiamo avuto contatti con una banca per un finanziamento e l’intenzione è coinvolgerne anche un altro paio: dal giorno in cui ci daranno le autorizzazioni contiamo di realizzare l’opera entro 18/24 mesi». Qualche settimana fa si era parlato anche dei costi: 2,5 milioni circa per palestra, uffici e un campo esterno.

A proposito di costi: per crescere bisogna spendere. Lo si è scritto prima ed è lo stesso Ponti a dichiararlo: «Noi oggi abbiamo un budget su base annuale di circa 250/300 mila euro, difficilmente comprimibile. L’idea è quella di arrivare più o meno al doppio. Se partiamo con il nostro progetto è perché i soldi ci sono: i miei e quelli che garantirò tramite gli sponsor».