«Il Varese entra dentro e non se ne va più. Quando lo vivi, non ti spaventa niente»

Stefano Ferrè, per tre anni nella società biancorossa: prima come stagista, poi nell’ufficio stampa. «Com’è strano non essere lì con voi: mi mancano quei sabato pomeriggio, la magia delle trasferte»

Stefano Ferrè ha lavorato per tre anni intensi al Varese e, dopo il fallimento della scorsa estate, è rimasto un cuore biancorosso. In questa stagione non è stato ancora al Franco Ossola ma lo farà fra otto giorni, quando la squadra di Giuliano Melosi incomincerà il girone di ritorno, affrontando il Verbano, seconda della classe a pari punti con l’Arconatese. Ad aspettarlo a Masnago ci saranno gli amici di sempre.

Ma io che c’entro? Che cosa ho fatto per essere intervistato?

Ero solo uno studentello universitario arrivato per uno stage e non ero neppure mai stato a Varese. Ma sono rimasto subito preso da questo ambiente.

Ho incominciato come stagista di Paola Frascaroli…

Sì, era uno dei miei primi giorni al Varese e in sede era arrivato il grande Beppe Sannino, che era passato al Siena. Tutti lo salutavano con grande familiarità e, quando l’ho incrociato in corridoio, io ero invece molto imbarazzato. Lui, che non mi aveva mai visto, mi guardò e mi tuonò esattamente queste quattro parole: «Ma chi cazzo sei?». Gli risposi: «Lo stagista di Paola Frascaroli». E lui immediatamente mi rispose: «Ma vattene affanculo».

Fantastico e inaspettato, in quanto, da studente della Bocconi, dovevo svolgere il primo stage curricolare in marketing e io avevo espressamente chiesto di farlo con una squadra di calcio. Tutte le porte erano però chiuse e, grazie a una conoscenza che mi aveva portato fino al direttore sportivo Mauro Milanese, ho avuto la possibilità di un colloquio con i dirigenti del Varese. Sono stato preso nell’aprile del 2012 e ho vissuto i mesi più emozionanti anche perché coincidevano con quelli in cui la squadra stava rincorrendo la Serie A. Non riesco ancora a spiegarmi come abbiamo fatto a perderla.

Applicavo la tanta teoria appresa all’università e la facevo diventare pratica: organizzavo eventi. Paola era esigente e per lei uno stagista, anche se arrivava come me dalla Bocconi, doveva saper tagliare anche il formaggio…

Mi aveva colpito come ognuno si sentisse parte della squadra. Non solo i giocatori o i dipendenti ma tutti i personaggi che ruotavano attorno al club e i tifosi che non si stufavano di dare una mano e di sacrificarsi per il Varese. Enzo Cattarulla aiutava Paola al marketing ed era legatissimo al progetto. Tanti sponsor si agganciavano alla società più per amore che per altro. Sono stato fortunatissimo perché dai banchi della Bocconi, dove sognavo di diventare qualcuno nel mondo del calcio, sono arrivato in una squadra unica.

Prima come supporto alla biglietteria e poi al marketing e alla comunicazione. Sono stati tre anni super, intensi e densi di emozioni. Ancora non mi rendo conto di non lavorare più per il Varese e questo perché forse col cuore non me ne sono mai andato. Sono sempre lì con voi.

Ho aperto con un amico di Legnano una società: organizziamo corsi di lingue e vacanze studio all’estero. Sono sempre in giro, fra Dublino, Londra e la Spagna e sono felice perché questa era sempre stata un’aspirazione che volevamo tradurre in realtà. Se non inseguo un sogno adesso quando lo faccio?

E in effetti ci ho sempre giocato fin da bambino e ho sempre allenato una squadra di ragazzini a Rescaldina. Lo faccio ancora tentando di trasmettere, più che la tecnica, lo spirito di gruppo. Insomma, i valori che fanno benissimo a chi ha un’età compresa fra i 10 e i 14 anni. Pensate che fra qualche giorno i nostri bambini riceveranno una visita speciale.

Di un allenatore di Serie B.

Stefano Bettinelli verrà ad allenarsi con noi e i nostri ragazzi sono già felici di questo ma non scrivete nulla perché, come sapete, l’ex allenatore del Varese non ama pubblicizzare queste cose. Le fa volentieri ma senza casse di risonanze.

Potrei parlare per ore di tante trasferte, fatte all’inizio con il mitico Fabrizio Nova, o di un battibecco avuto a Novara con il giornalista Criscitiello. Se poi penso a Chicca, Fede e Marco, quante ne potrei raccontare. Sul Varese ho scritto anche la mia tesi di laurea in Economia e ci ho lavorato fino all’ultimo giorno, quando la società si avviava ormai al fallimento ed era un dolore unico. Preferisco citare Leonardo Pavoletti: è un attaccante che merita di stare in alto. Gli ho telefonato qualche giorno fa e mi auguro di vederlo a giugno in Francia, con la maglia della nazionale italiana, all’Europeo.

Ce l’ho ancora dentro. Anche qui la risposta sarebbe infinita. Se mi limito al campo lavorativo dico che, dopo questa esperienza, nessuna difficoltà sul lavoro potrebbe farmi paura o fermarmi.

L’obiettivo di arrivare al sabato per giocare le partite che danno senso agli sforzi della settimana perché il giorno della gara tutti, dai calciatori ai tifosi, hanno lo stesso obiettivo. Mi mancano quelle tabelle con le previsioni in chiave playoff o salvezza che non piacevano al bravissimo e scaramantico Pietro Frontini.

Ringrazio la nuova società per avermi contattato in estate. Mi ha proposto di lavorare ancora per il Varese ma io e il mio socio avevamo già fatto un investimento importante per avviare una nuova attività. Ho avuto anche la proposta di un impegno part time ma io non ci riuscirei perché se fossi in biancorosso dovrei viverci giorno e notte, non parlando d’altro dalla mattina alla sera. Non è escluso però che un giorno non torni anche perché questo ambiente è unico. E lo si capisce andando tutti i santi giorni allo stadio, dove tifosissimi doc, come l’Ernesto e i suoi amici, si fanno in quattro per dare il loro contributo e trovare, ad esempio, sedie e poltrone da mettere a disposizione per fare bella la nuova sede.

Voglio iniziare l’anno alla grande e sento di non essere mai andato via. Sono come un bambino che è stato adottato da piccolo e per lui i suoi veri genitori sono quelli adottivi. Non sono di Varese ma del Varese. E lo capisco tutti i giorni non vivendo più professionalmente il Varese.