Bell’articolo Lo ha scritto un robot

I computer adesso si mettono a scrivere articoli di giornale da soli. E’ diventato un caso il pezzo comparso sul quotidiano statunitense “Los Angeles Times” che per primo ha messo online la notizia del terremoto quando ha scosso la città il 17 marzo.

Il testo, ancora disponibile sul web, è di poche righe e firmato da Ken Schwencke solo che a scriverlo non è stato il giornalista ma un algoritmo da lui stesso realizzato, come spiegato in una nota alla fine dell’articolo.

La storia, in breve, è questa. Ken Schwencke, esperto di informatica, ha creato un programma, chiamato Quakebot, che rintraccia tutte le informazioni sui terremoti di magnitudo superiore a 3.0, diffuse da US Geological Survey, agenzia scientifica del governo americano, trasformandole automaticamente in una notizia con tanto di titolo e relativa mappa, pronta per essere pubblicata.

Al giornalista che gestisce il software è bastato semplicemente verificare qualche particolare del testo elaborato dalla macchina, aggiungere un sottotitolo, fare un clic e l’articolo è andato su Internet. Questo sistema si può utilizzare anche per altri temi ed eventi. Schwencke ed i suoi colleghi impiegano già un algoritmo simile per ottenere report automatici su fatti di cronaca nera locali.

Il futuro sarà il giornalismo robotico? Domanda preoccupato un editoriale di The Guardian. Niente paura, risponde minimizzando l’autore di Quakebot, perché questi programmi servono soltanto a dare supporto all’attività giornalistica. Siamo nell’era dell’informazione in tempo reale e alla macchina viene demandato il lavoro grezzo, che fa perdere tempo inutilmente, per poi affidare alla competenza umana gli aspetti di indagine e di analisi.

In fondo, anche Forbes, una delle testate più influenti e autorevoli del giornalismo economico internazionale, sfrutta una piattaforma di intelligenza artificiale fornita dalla società Narrative Science per generare articoli e servizi di finanza e sport sulla base dei dati raccolti sul web.

Sono sufficienti questi argomenti per rassicurare gli addetti ai lavori che vedono l’avanzare della tecnologia come una minaccia di esproprio della professione? Non proprio perché l’attività di scrittura delle macchine robotiche guadagna ancora terreno diventando sempre più indistinguibile da quella umana.

In un test, condotto all’inizio dell’anno da Christer Clerwall, docente all’Università Karlstad in Svezia, il contenuto giornalistico, generato da un software, è stato addirittura giudicato migliore di quello umano da un gruppo di studenti, chiamati a valutare diversi articoli senza essere al corrente di chi o cosa li avesse scritti.

Ma le macchine possono fare anche di meglio. Tempo fa fece scalpore il fatto che Philip Parker, professore di marketing all’Insead, avesse creato un programma per realizzare libri in automatico, venduti a migliaia su Amazon. Il sistema, tempestivamente brevettato, è in grado di sfornare nel giro di pochi minuti opere voluminose in gran quantità prelevando le informazioni necessarie da un database. Dizionari, manuali di medicina o testi di economia possono essere prodotti a costi bassi e su richiesta. Non saranno best seller ma i titoli su temi di nicchia hanno un loro mercato.

Guarda caso, l’Economist ha pubblicato di recente un articolo in cui tra le professioni a rischio di essere rimpiazzate dal lavoro dei robot compare anche quella del redattore tecnico, incaricato di redigere guide e testi specialistici.

Il raggio d’azione dell’attività di scrittura delle macchine è quindi ampio e si applica su scala allargata. Un altro esempio? A febbraio Cyril Labbé, ricercatore dell’Università “Joseph Fourier” di Grenoble, ha denunciato la presenza su Internet di decine di pubblicazioni scientifiche generate da appositi programmi bot che spesso invece sono spacciate per vere opere prodotte dalla mano umana. Ci sono diversi software, disponibili gratuitamente, in circolazione sul web – come SCIgen, inventato dagli scienziati del Mit nel 2005 – capaci di ingannare editori e redattori di riviste scientifiche, compresa l’autorevole “Nature”, con articoli che sembrano autentici quando in realtà sono falsi scritti artificialmente.

Le ricerche più generiche a quelle più specifiche, che riguardano argomenti di matematica e teoremi veri e propri, possono essere contraffatte e presentate come se si trattasse di materiali scientifici elaborati dalla mente dell’uomo. Labbé è riuscito a smascherare l’imbroglio dei falsari sviluppando un sistema che in automatico identifica i documenti taroccati.

Paradossalmente, bisogna ringraziare il lavoro di un’altra macchina.

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