«I questuanti del centro città? Alcuni sono richiedenti asilo»

La denuncia di un’educatrice: «Il sistema d’accoglienza spesso è un business»

«Conosco alcuni dei ragazzi africani che chiedono la questua in centro Varese. Posso confermare che sono richiedenti asilo che provengono dalla Provincia. Non si tratta dunque di clandestini, di migranti economici a cui è stata rifiutata la richiesta di asilo, bensì di ragazzi che non trovano, presso le cooperative da cui sono ospitati, l’accoglienza di cui avrebbero diritto». La denuncia arriva da un’educatrice che ha lasciato il lavoro in una di queste cooperative perché «profondamente delusa dal sistema di accoglienza che, per come andavano le cose in quella realtà, era interpretato come un vero e proprio business».

Numeri da miseria

Per ogni richiedente asilo lo Stato stanzia 33 euro al giorno. Di questi, 2.50 euro vanno direttamente al migrante per far fronte alle esigenze personali; il resto viene impiegato dalla cooperativa per garantire vitto, alloggio, vestiti, medicine e attività di formazione, come i corsi di italiano. «Purtroppo, per quella che è la mia esperienza, non sempre ciò avviene – afferma l’educatrice – Ho conosciuto realtà che risparmiano su frutta e verdura, con il risultato che ai ragazzi viene la gastrite.

Ho visto cucinare riso proveniente da sacchi pieni di scarafaggi. Ho sentito dire ai richiedenti asilo che, in caso di problemi di salute, le medicine avrebbero dovuto essere acquistate con i 2.50 euro quotidiani. Ho visto ragazzi indossare calze e sandali a gennaio perché non sono state date loro calzature invernali. Ho dovuto litigare con i dirigenti di una cooperativa per far accendere i caloriferi nei centri di accoglienza; ho raccolto lenzuola e coperte tra i miei famigliari perché altrimenti i ragazzi avrebbero dovuto fare senza. Ho conosciuto ragazzi che vegetano sul letto per due anni perché non viene proposta loro alcuna attività, e che sarebbero ben felici di lavorare o di fare volontariato».

«Per rispetto della dignità umana e di quelli che sono i miei valori, non posso lavorare in centri di quel tipo. In Provincia di Varese ho conosciuto anche cooperative di valore, con personale qualificato, ma posso confermare che, di fianco agli esempi positivi, esistono realtà che si fanno carico dell’accoglienza senza avere alcuna competenza e motivazione. In certi posti, l’unica cosa che viene detta ai ragazzi è “se trasgredisci sei fuori” – testimonia l’educatrice – Non capisco come sia possibile trattare così persone che hanno sofferto e che piangono raccontando il loro passato, il loro paese».

«Ho molta delusione e rabbia nel vedere come questi richiedenti asilo vengano lasciati a loro stessi ad arrangiarsi come possono. E poi ci si chiede perché facciano la questua – afferma l’educatrice – Alcuni ragazzi vengono assaliti dal senso di vergogna. Chiamano i parenti a casa e dicono loro che va tutto bene, mettono su Facebook le loro foto affianco alle belle macchine, e poi mandano alle famiglie i soldi raccolti con la questua».

L’educatrice ritiene che l’ondata migratoria possa essere affrontata in modo diverso. «Dovremmo lavorare tutti insieme mettendo al centro la persona, e non i fondi che vengono erogati per risolvere l’emergenza – conclude – Creiamo una rete, anche di volontari, che possano svolgere alcune attività insieme a migranti. Per esempio, un medico che conosco si è messo a disposizione gratuitamente per visitare i ragazzi. Attiviamo tirocini per i richiedenti asilo, facciamoli partecipare ad attività sociali e di volontariato. E poi ci vorrebbe un organismo di controllo serio, perché non è possibile tollerare l’esistenza di cooperative che prendono i soldi e non li utilizzano come dovrebbero».