I volti e le storie dei nuovi varesini

La mostra “Mettiamoci la faccia” sarà inaugurata domenica 9 luglio alle 16.30 a Villa Baragiola

Oltre cinquanta volti di varesini provenienti da altrettanti Paesi del mondo. Tutti riuniti, assieme alla loro storia, nella mostra fotografica “Mettiamoci la faccia – Guardami, questa è la mia storia”, che sarà inaugurata con un aperitivo domenica pomeriggio, alle 16.30 in Villa Baragiola, dove rimarrà in esposizione per una settimana, fino al prossimo 15 luglio.

La mostra l’ultima tappa di un percorso lungo un anno, portato avanti grazie al progetto «Mettiamoci la Faccia» lanciato a ottobre da Anolf (associazione nazionale contro le frontiere) di Varese con il sostegno della Fondazione comunitaria del Varesotto.

In questi mesi sono stati proposti ai ragazzi delle scuole superiori dei laboratori gratuiti di fotografia, per migliorare ciascuno la propria tecnica e allo stesso tempo lavorare insieme alla realizzazione di questa mostra che ha l’obiettivo di svelare «la bellezza e la normalità della multiculturalità della società in cui viviamo qui a Varese», spiega Paola Prestinoni di Anolf. Durante il corso i ragazzi hanno ritratto oltre cinquanta volti, le cui foto e le cui storie sono state mano a mano raccolte e pubblicate sul sito mettiamocilafacciablog.wordpress.com.

Tra loro ci sono madri, padri, figli adottivi, seconde generazioni, ragazzi e ragazze nate da matrimoni misti: persone che vivono a Varese e in qualche modo legate a paesi lontani. Perché ci sono nati, o cresciuti, o perché lì è rimasta parte della loro famiglia. Ciascuno in mostra con il suo viso immortalato e una storia da raccontare, tra esperienze passate e aspettative per il futuro. C’è Alassane arrivato dal Mali tre anni fa per chiedere asilo politico,

e poi Emile originario della Costa d’Avorio che qui ha imparato a vivere di bolle di sapone giganti. E ancora Angela, in fuga dal Niger, ma anche Sandra arrivata dal Perù per lavorare e rimasta per amore del marito e dei figli nati qui. E Cristopher ragazzo cileno adottato quando era bambino come Francesco, rimasto orfano in Russia, dove si chiamava Nikita «ma ho chiesto di poter cambiare nome perché all’asilo i miei compagni mi prendevano in giro». I loro volti e le loro parole raccontano di paure, sogni, gratitudine e pregiudizi reciproci con cui fare i conti.

I dati raccolti nell’ultima relazione annuale di Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) rileva un forte aumento di pregiudizi, che sono poi alla base discriminazione, con risvolti anche violenti, fino a sfociare nell’aggressione fisica individuale o di gruppo. Soprattutto ai danni di stranieri minorenni. «Il sospetto, la paura e i pregiudizi nei confronti degli altri nascono e crescono soprattutto per la mancanza di conoscenza diretta delle persone, per la mancanza di condivisione di tempo, di spazi e di attività», spiegano i promotori di Mettiamoci la faccia. Il progetto ha quindi coinvolto in prima persona i giovani fotografi, spinti a concentrarsi sull’unicità della persona piuttosto che sulla cultura di appartenenza, per contribuire a creare un clima positivo che favorisca la comprensione reciproca, da condividere attraverso la mostra. Mostra che avrà un’anteprima sotto il portico di Palazzo Estense dal 6 al 8 luglio e sarà poi a disposizione di qualsiasi ente la richieda.