Il sacerdote che morì in Etiopia. E fu con D’Annunzio a Fiume

Padre Reginaldo Giuliani e la quasi cancellazione del suo nome da una via. Vicoli e cortili: la Canonica di San Vittore, vero cuore religioso della Città Giardino, isola di pace e serenità

Si parla molto spesso di memoria divisa degli italiani.

Nonostante siano passati ormai più settant’anni dalla fine della guerra, le ferite sono ancora aperte. Ed è troppo presto, a conti fatti, per riuscire ad arrivare a quella che da più parti invocano e che chiamano “pacificazione nazionale”.

Forse l’essere divisi, purtroppo, scorre nel sangue degli italiani, vuoi per l’Unità nazionale fatta in maniera non proprio ortodossa (se non come vera e propria guerra di conquista, come dicono molti storici meridionalisti) , vuoi perché siamo il Paese dei mille campanili, e amiamo la divisione. Le divisioni politiche, poi, sono il nostro pane quotidiano.

E anche la toponomastica è spunto di divisioni. Come ci spiega il giornalista Fausto Bonoldi, nel suo post per “La Varese Nascosta”.

Quando, nel settembre scorso, fu intitolata una nuova via di Casbeno a Calogero Marrone, che morì a Dachau per aver salvato centinaia di ebrei e antifascisti, lo storico Franco Giannantoni propose di dare il nome di Marrone alla via oggi intitolata a padre Reginaldo Giuliani, la strada che collega via Monte Rosa a viale XXV Aprile.

La proposta di cancellare la memoria di padre Giuliani si fondava sulla considerazione della profonda fede fascista oltre che cristiana del religioso, insignito di medaglia d’oro al valor militare alla memoria.

La decorazione è motivata dal fatto che padre Reginaldo, il 21 gennaio 1936, sacrificò la vita al fine di soccorrere un commilitone, il fraterno amico Luigi Valcarenghi, colpito a morte nella battaglia di Passo Uarieu, una pagina tragica della guerra d’Etiopia, impresa a cui il sacerdote aveva aderito con entusiasmo come cappellano delle Camicie Nere.

Nella motivazione della medaglia d’oro si legge che padre Giuliani «durante lungo accanito combattimento in campo aperto sostenuto contro forze soverchianti, si prodigava nell’assistenza dei feriti e nel ricupero dei caduti. Di fronte all’incalzare del nemico alimentava con la parola e con l’esempio l’ardore delle camicie nere gridando: “Dobbiamo vincere, il Duce vuole così”».

Dal 31 ottobre 1956 il suo corpo, dapprima sepolto in Etiopia, riposa nella chiesa di San Domenico a Torino; a lui sono intitolate vie e scuole in numerose città italiane.

Nato a Torino il 28 agosto 1887, Andrea Giuliani seguì la vocazione religiosa che lo portò a vestire, il 25 settembre 1904, l’abito dei domenicani con il nome di Reginaldo.

Durante la Prima guerra mondiale combattè in trincea con gli Arditi della Terza armata, di cui fu cappellano militare; per il suo ardimento fu insignito di due medaglie di bronzo e una d’argento.

Partecipò all’Impresa di Fiume con Gabriele D’Annunzio, insieme agli squadristi cattolici delle Fiamme Bianche, e fu uno dei protagonisti della Marcia su Roma. Nel 1919 scrisse un libro dedicato alla sua esperienza nella Grande guerra intitolato “Gli Arditi”, edito dai Fratelli Treves con il sottotitolo “Breve storia dei reparti d’assalto della terza armata”, ma il suo capolavoro è considerato il libro “Le vittorie di Dio”.

L’anno dopo la sua morte in Etiopia, nel 1937, fu pubblicato a Torino il libro di memorie “Croce e spada” che raccoglie lettere ed articoli giornalistici scritti durante la guerra dal domenicano che improntò la sua vita al principio secondo cui “non sarò mai costretto a scegliere fra Chiesa e Patria perché nel bene d’una ho sempre trovato il bene dell’altra”.

“L’uomo della Croce” è il titolo del film che Roberto Rossellini dedicò nel 1942 alla vita di padre Giuliani, il cui nome è citato anche nel canto del legionario: “Sui morti che lasciammo a Passo Uarieu la croce di Giuliani sfolgorò”.

La bellezza “nascosta” del centro storico ci viene svelata sempre dal giornalista Fausto Bonoldi, in questo percorso chiamato “Per vicoli e cortili”.

«Tra via Bagaini, vicolo Canonichetta e piazza Canonica, con il suo antico pozzo, sorge il complesso della Canonica di San Vittore, cuore religioso della città.

È un’isola di pace e di serenità nel trafficato centro di Varese.

La sede della Prepositura non è mai stata curia vescovile ma un tempo nelle vicinanze, prima che un bel palazzo di stile gotico fosse demolito per costruire la sede della banca, c’erano una “casa del vescovo”, ovviamente quello ambrosiano, e le abitazioni dei canonici, ben 24 ai quali si aggiunsero, nella seconda metà del XVI secolo, otto canonici in commenda e sei cappellani.

Nonostante la città non sia mai diventata sede vescovile, il clero di San Vittore era uno dei più importanti della Lombardia.

Non solo, dal Rinascimento la Canonica varesina fu anche centro di potere civile, dal momento che esercitava le funzioni amministrative sulla grande Pieve considerata provincia del Ducato di Milano. Dopo che la Pieve, con il Concilio di Trento, fu trasformata in Vicariato ebbe inizio una progressiva decadenza: nel 1923, l’arcivescovo Eugenio Tosi istituì il Vicariato di Malnate con Gurone, sottraendo le due parrocchie a San Vittore; nel 1951 le parrocchie di Azzate, Bodio, Brunello, Buguggiate, Crosio della Valle, Daverio, Galliate Lombardo e Lomnago, già parte della Pieve di Varese, andarono a costituire il vicariato foraneo di Azzate. Al Vicariato di San Vittore, diventato Decanato, sono rimaste solo 25 parrocchie».