La povertà non va in ferie

L’altra faccia dell’estate. Il lavoro della Caritas e di Don Marco Casale prosegue per tutto agosto, e si cercano volontari

La calura esagerata di questi giorni ci spinge a concentrare ogni nostra preoccupazione verso fonti di refrigerio per il corpo e la mente. Molteplici le attività estive delle parrocchie e associazioni ecclesiali che, conclusi gli oratori per ragazzi, partono per i campi-scuola, una settimana o poco più di esperienze intense di convivialità e formazione. C’è poi il mare dei lidi nostrani, per chi non può permettersi altro; ci sono le mete ricercate e prenotate, da tempo o last minute, per chi, alla faccia della crisi afferma «rinuncio ad altro, ma le vacanze non si toccano».

Sacrosante parole. Le vacanze servono per spezzare il ritmo frenetico di un anno di lavoro, per recuperare tempo e cura delle relazioni famigliari o amicali. Ma c’è anche un’altra amara verità: la povertà non conosce ferie. Per chi soffre, i giorni si equivalgono.

«La mensa dei frati della Brunella e delle suore di via Bernardino Luini rimangono aperte e il servizio è garantito per tutto il mese di agosto, come sempre – spiega Don Marco Casale, referente Caritas Varese – Chi è a casa, perché già rientrato dalle ferie o perché in vacanza non ci va, potrebbe cogliere l’opportunità di donare qualche ora o qualche giorno del proprio tempo per cambiare la giornata a qualcuno. La Caritas e le mense hanno sempre bisogno di volontari. La povertà è un concetto per molti aleatorio, una parola che si legge sui giornali ogni tanto, quando qualche notizia diventa di moda. Se però si tocca con mano può colpire». Don Marco, infatti, ritiene che a pochi sia chiaro il quadro che negli anni si è delineato in città.

«Secondo i dati raccolti dalla Caritas, oltre l’8% dei varesini vive in povertà assoluta: oltre 5 mila cittadini – spiega – Che cosa vuol dire, in molti si chiederanno. Significa che oltre 5mila persone in città mancano di alcuni beni essenziali. Non sono senza tetto, un tetto ce l’hanno, ma magari hanno uno sfratto in corso, non hanno un reddito sufficiente per sopperire ai bisogno essenziali, in famiglia vivono carenza di alimenti e non possono accedere a determinati percorsi di studio. Insomma, sono persone che sopravvivono. E vi garantisco che non è un dato sovrastimato».

Agli scettici Don Casale dice: «Uscite dalla vostra bolla dorata e guardate la realtà con gli occhi che vi fa sicuramente bene». Essere sulla soglia della povertà assoluta non significa vivere uno stato di grave emarginazione. «La grave emarginazione è quella propria dei clochard che in città ammontano a circa un centinaio». La stima della povertà assoluta è ottenuta attraverso la valutazione di una soglia che esprime il valore monetario di un paniere di beni e servizi “considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale”. «All’interno del paniere, tre sono le componenti principali: una riferita al soddisfacimento di fabbisogni alimentari essenziali; una riferita alla disponibilità di una abitazione consona; e una, di natura residuale, riferita alla necessità di vestirsi, comunicare, istruirsi, vivere in salute, informarsi e muoversi».