La storia della mitica Villa Dandolo e della misteriosa scritta sul muro

“Dandolo Magatti pingebat Anno Santo 1725” si legge sul muro giallo del refettorio della struttura. «Avevamo intuito che qualcosa poteva essere rimasto al pianoterra e le indagini stratigrafiche ci hanno dato ragione»

Continua il nostro viaggio nella storia locale grazie ai post di Paola Molinari.

“Dandolo Magatti pingebat Anno Santo 1725”: sul muro giallo del refettorio al pianterreno dell’antico convento francescano dell’Annunciata, da cui una ditta specializzata stava ricavando una moderna palazzina in via Medaglie d’Oro 27 a Varese, comparve la scritta su fondo rosso.

Sono passati quasi trecento anni e torna alla luce l’Ultima Cena di Pietro Antonio Magatti (1691-1767), un artista di punta del settecento varesino, già attivo nel monastero delle romite al Sacro Monte con un affresco di tema analogo.

«È stato come scoprire un tesoro – gongola la soprintendente lombarda alle belle arti con gli occhi che luccicano – un tesoro scoperto grazie alle precauzioni che abbiamo preso quando sono cominciati i lavori in questo edificio. Avevamo intuito che qualcosa poteva essere rimasto negli ambienti al pianoterra con le volte a crociera e le indagini stratigrafiche ci hanno dato ragione. L’affresco del Magatti s’ispira all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci a Santa Maria delle Grazie, a Milano. Ora proseguirà l’opera di disvelamento dell’affresco e questo ritrovamento aumenterà senz’altro il valore dell’immobile».

L’edificio ha una storia curiosa. Costruito dai frati francescani nel 1468, fu acquistato a prezzi di realizzo ai primi dell’ottocento, dopo le requisizioni napoleoniche, da Vincenzo Dandolo, scienziato e abile uomo d’affari, oggi diremmo anche disinvolto “palazzinaro”, che fece abbattere muri, coprire affreschi e rimodellare il monastero a villa privata. Il conte Dandolo era un ricco veneziano trapiantato all’ombra del Sacro Monte e la sua famiglia era destinata a passare alla storia: i nipoti Enrico ed Emilio combatteranno con Garibaldi nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana e si guadagneranno un posto nella galleria degli eroi del Risorgimento.

A Varese aveva conosciuto e sposato Marianna Grossi, sorella del fisico Luigi Grossi, autore con Giovanni Antonio Adamollo della Cronaca di Varese. Si era stabilito a Biumo in una bella villa disegnata dall’architetto Leopoldo Pollack e qui, nella terra che lo aveva adottato e che egli entusiasticamente giudicava “un paradiso in terra”, aveva investito il suo cospicuo patrimonio dedicandosi, nel frattempo, agli amati interessi agricoli: la coltivazione delle viti e dei gelsi, l’allevamento dei bachi da seta, la lavorazione dei filati, la produttività delle razze ovine, l’allevamento delle pecore spagnole di razza merinos, la produzione dei vini e lo sfruttamento agricolo delle campagne.

Infaticabile studioso, scrisse oltre cento libri delle sue esperienze. Era un tipico personaggio del suo tempo, un “uomo nuovo” dell’età napoleonica, astuto e spregiudicato quanto bastava per non tirarsi indietro di fronte alla possibilità di fare soldi con le speculazioni immobiliari. A prezzi di saldo (13 mila lire) acquistò nel 1810 il soppresso convento dei frati minori riformati dell’Annunciata (la sola biblioteca era stata valutata 30 mila lire), rilevò terre e proprietà dell’ex convento delle benedettine umiliate di San Martino e l’eremo, i romitori e circa 1690 pertiche di terreno dei carmelitani scalzi al Deserto di Cuasso. Del convento all’Annunciata fece una specie di fattoria. Vendeva semenza e allevava bachi da seta. Vi manteneva le bigattiere più piccole, le mezzane e quelle grandi; altre di varie grandezze faceva gestire dai coloni a Malnate, Varese, Velate e Varano dove aveva comprato terreni a prezzi stracciati.

Divenne ricchissimo e con i suoi studi svolse un’importante attività d’innovatore agricolo dando un fondamentale apporto allo sviluppo della gelsicoltura e della bachicoltura in Lombardia, tanto che l’amata Varese gli dedicò una via del centro e un marmo nel lapidario a pianterreno di Palazzo Estense. L’opera gli fu intitolata sessant’anni dopo la morte, nel 1879, dal Comizio Agrario.

Venduta e passata a nuove mani, ai primi del novecento la villa ex monastero oggi in via Medaglie d’Oro divenne un collegio studentesco e infine casa di appartamenti privati; fino a oggi, di nuovo tempo di lavori di ristrutturazione per trasformarla in una moderna palazzina. Quando il restauro sarà completato e l’edificio agibile dai condomini, l’ex refettorio con l’Ultima Cena del Magatti diventerà forse una prestigiosa sala convegni oppure la sala da pranzo di un appartamento privato. La vita non si ferma e neppure la storia.

Fonte:
https://www.amicidelsacromonte.it.