L’arma del delitto? Forse un Opinel. L’ipotesi sul coltello usato nel delitto

La giovane studentessa venne assassinata con 29 colpi tra il 5 e il 6 gennaio 1987. Le ricerche dell’oggetto non hanno avuto esito

Per uccidere Lidia Macchi forse fu utilizzato un coltello Opinel, celebre arma da taglio compatibile, anche se la certezza assoluta non ci sarà mai visto che l’arma del delitto non è mai stata trovata, con le 29 ferite inferte a Lidia nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 quando la giovane fu uccisa. È Mario Tavani, medico legale che eseguì 30 anni fa l’autopsia 30 anni fa sul cadavere di Lidia a formulare questa ipotesi.

Le ferite sono state inferte da una lama stretta e molto affilata. Una lama appuntita che si ispessisce poi: le ferite arrivano a 3 o 4 millimetri di larghezza e hanno forma triangolare. Incompatibile con quella di un bisturi, ad esempio. I coltelli Opinel sono molto diffusi tra chi intaglia il legno per passione, chi va a funghi, ma anche tra gli Scout di cui Lidia fece parte per anni. L’arma, su indicazione della super teste Patrizia Bianchi, fu cercata l’anno scorso al parco Mantegazza di Varese dove la Bianchi disse Binda gettò un misterioso sacchetto di carta «come quelli del pane» che le aveva ordinato «di non toccare» 30 anni fa.

Ieri i consulenti hanno testimoniato che le ricerche, ordinate dalla procura generale di Milano per non lasciare nulla di intentato, non hanno portato a niente. E che in effetti la possibilità di trovare tracce biologiche su qualche lama trovata in quel parco dopo 30 anni erano di “una su un milione di miliardi” hanno detto i periti. La domanda chiave l’ha fatto in realtà il presidente della Corte d’Assise Orazio Muscato: «se non fossero stati distrutti i vetrini con tracce biologiche di chi quella sera ebbe un rapporto sessuale con Lidia oggi potremmo eseguire un confronto certo sul Dna con quello dell’imputato?».

La risposta è stata sì. E intorno a quella decisione, bizzarra di distruggere quei vetrini, girano molte responsabilità odierne.