L’assassino di Mara torna libero dopo 10 anni: «Me l’hanno uccisa un’altra volta. Mi arrendo»

Livio Moiana è il cugino della ragazza ammazzata a coltellate da un pazzo. «Adesso c’è solo rabbia»

Guardatela, la foto qui sopra. Stampatevi in mente questo sorriso e riguardatelo, di tanto in tanto, mentre scorrete le righe di questa intervista. Perché questo è un sorriso che non c’è più. , una sera di dieci anni fa è stata uccisa a coltellate da un pazzo: nessun motivo particolare, nessun movente, nessun pentimento. Questa è la storia di una ragazza ammazzata, di una violenza insensata, di una famiglia devastata dal dolore, di una morte ingiusta.

Questa è la storia di un assassino che tra qualche mese tornerà libero: di vivere, di ridere, di scherzare. E magari – perché no – di fare ancora del male visto che il giudice che l’ha condannato nella sentenza lo ha definito “individuo pericoloso, in grado di agire ancora”. Questa è una storia di umiliazione, rabbia, schifo, dolore, ricordi, mancanza. «Mara – racconta il cugino – è stata ammazzata la sera del 2 febbraio 2007. Il suo assassino tra qualche mese, grazie a una serie di sconti di pena, tornerà in libertà. Era stato condannato a diciassette anni di carcere grazie al rito abbreviato, uscirà dopo dieci: sei dei quali passati in un OPG. In galera, l’uomo che ha ucciso la mia Mara, c’è stato al massimo per quattro anni».

Per me, per la mia famiglia, questo è l’ennesimo schiaffo, l’ennesimo carico di dolore in una storia che di dolore ne ha già portato troppo. Mara non c’è più. Suo padre non si è mai ripreso dal suo assassinio ed è morto qualche anno dopo, mio padre si è ammalato qualche mese dopo l’omicidio ed è morto due anni dopo. E il suo assassino uscirà: sconto di pena per buona condotta.

Mai. Mai in questi anni c’è stato un passo in questo senso: non da lui, non dai suoi avvocati, non dalla sua famiglia. Mai. Evidentemente non si è mai reso conto della gravità di quello che ha fatto, e proprio per questo motivo è allucinante che ora possa tornare libero. Auguri, davvero, a chi avrà la sventura di trovarselo come vicino di casa. Auguri.


Rabbia, tanta. Perché perdere una persona così – una figlia, una sorella, una cugina, una fidanzata – è terribile. Non ci si rialza mai perché quel sorriso lì non te lo restituirà mai nessuno. Non ci si rialza ma si prova a sopravvivere: ogni giorno, ogni maledetto giorno si fa un passetto in avanti. Roba di centimetri, roba conquistata con fatica bestiale. E poi arrivano notizie come questa, che di colpo ti riportano indietro di dieci anni. Ti riportano a quel momento là: quando è squillato il telefono e ci è stato detto “Mara è morta”. Quindi c’è rabbia, perché io e la mia famiglia non abbiamo più la forza di rialzarci.


Con l’assassino, ovviamente. Ma anche con un sistema sbagliato, con uno stato – e mi raccomando, lo scriva minuscolo – che è nemico delle vittime. Uno stato che aiuta gli assassini e dimentica i morti e le loro famiglie. Uno stato che in questi dieci anni con la mia famiglia si è fatto vivo una sola volta, e sapete per cosa?

No.

Per chiederci di pagare la tassa per il deposito della sentenza anche dell’assassino. Perché lui risulta nullatenente. Lui, che al processo è stato difeso da due studi legali di grido e chissà chi glieli ha pagati mentre la mia famiglia ha speso cinquantamila euro, di tasca sua. Perché è anche di questo, che dobbiamo parlare: l’assassino è stato condannato a risarcire la mia famiglia. Il giudice ha stabilito che Sabrina, la sorella di Mara, dovesse prendere ventimila euro di risarcimento. Ai miei zii, genitori di Mara, sarebbero dovuti andare cinquantamila euro. Soldi che nessuno ha mai visto e nessuno mai vedrà, perché lui risulta nullatenente.

Ci ho creduto, ho mosso mari e monti, sono andato da Mattarella. Ma ora, davvero, mi arrendo. Perché così è davvero troppo. Mi arrendo perché ha vinto lo stato: ed è una cosa brutta da dire. Lo stato dovrebbe tutelare le persone perbene, invece tutela solo i criminali. E non è il dolore a parlare: sono i fatti. I fatti. E i fatti sono questi: non parlo solo di noi e di Mara, ma parlo delle decine di famiglie come noi che ho conosciuto in questi anni. Faccio due esempi?


Famiglia con due bambini piccoli, mamma casalinga e papà che lavora. Il papà viene ucciso e la mamma, oltre al dramma personale, deve vivere quello di una donna costretta a trovare un lavoro. E quando trova un lavoro deve trovare qualcuno che le curi i bambini. E nessuno, nessuna istituzione, la aiuta in nulla. L’assassino, invece, dopo qualche anno di carcere viene inserito in un progetto di recupero che lo porta ad avere un’occupazione fissa fin dal giorno in cui esce di galera. E non ho fatto nomi, ma questa è una storia accaduta realmente. Altro esempio: una vittima di stupro che in seguito alla violenza subita ha perso il lavoro, mentre il suo stupratore dopo quattro anni di carcere è stato inserito in un’azienda.

L’Italia è un paese che guarda più ai carnefici che alle vittime. Olindo e Rosa ce li ricordiamo tutti, ma abbiamo tutti dimenticato i nomi di quelli che hanno ucciso: vero? Nel 2010 la Corte di Giustizia Europea ha condannato il nostro paese perché non aveva rispettato i parametri dei risarcimenti alle vittime, e nel 2012 la condanna era stata ripetuta. Allora il governo Renzi ha istituito un fondo per le vittime e ci ha buttato dentro un po’ di spiccioli: risarcimenti ridicoli, ma almeno era qualcosa. Questo fondo è stato attivo per un anno, ora è vuoto: non c’è più un euro. Finito. Ecco, l’ennesima presa in giro. E non è finita.

In questi giorni stanno votando una legge che porterà a impedire il ricorso al rito abbreviato per i reati più gravi. Una legge giusta perché quella del rito abbreviato è un’assurdità: all’assassino di Mara, reo confesso e colto praticamente sul fatto, non è parso vero di risparmiarsi un terzo della pena scegliendo il rito abbreviato. Ecco, questa legge potrebbe passare anche se quelli di Forza Italia si sono astenuti: ma io non esulto perché attendo il solito cavillo, la solita scusa che la farà naufragare. Perché ormai ho imparato a conoscere questo paese.


A caldo, su Facebook, quando ho saputo che l’assassino della mia Mara sarebbe tornato libero, ho scritto così: mi arrendo. Poi ho letto dei commenti: gente che sta vivendo il mio stesso dolore, che mi ha implorato di non mollare. Non è una battaglia personale, è una battaglia per tutti. E allora, quel commento scritto di pancia l’ho cancellato. E ora mi viene da dire che continuerò a lottare: per Mara, per tutte quelle che saranno come Mara e ancora non lo sanno. Lotterò: sono in ginocchio, ma non mi arrendo.