Presepi nascosti

Ci avviciniamo al natale con un viaggio negli archivi storici delle scuole elementari della città. Ecco come le alunne varesine allestivano il presepe, attraverso gli scritti lasciati dalle loro maestre dell’epoca

– C’è un simbolo che più degli altri incarna il Natale: è il Presepe. Un’immagine tenera, domestica, che trasmette serenità, e nel contempo suscita stupore per la Vita che si rinnova e rinnova, esprimendo nella maniera più semplice e immediata l’essenza del messaggio cristiano. Come tradizione vuole, esso trova spazio, durante l’Avvento, in tutti quei luoghi dove le comunità si raccolgono, vivono, lavorano e studiano: con buona pace di chi vorrebbe cancellare con un colpo di spugna la storia del Natale vissuto fra banchi e quaderni, fra libri, lavagne e poesie da quando esiste la scuola italiana.

E se qualcuno non ci credesse, ci sono gli archivi a raccontarlo per noi. Quegli archivi che conservano registri antichi, dove lavorano e studiano persone che pensano che la storia documentata sia ancora un insegnamento prezioso per scrivere il presente e il futuro. In questi archivi varesini dove il tempo si è fermato abbiamo riscoperto tre storie esemplari il cui protagonista è proprio il presepe: si tratta di racconti scritti di pugno dalle insegnanti, com’era costume fare all’epoca

in cui collocheremo le storie, a margine dei programmi mensili che le suddette erano tenute a registrare: racconti sotto forma di diario più o meno quotidiano, dove prendono forma bambini e maestri di tanti or sono nella loro quotidiana operosità; e il poter riaprire dopo decenni quei vecchi faldoni polverosi, e quelle pagine affidate fino a ieri all’oblio è, lo confessiamo, una gioia immensa che sorride al cuore, un vero dono di Natale.
Il primo dei tre racconti che vi proponiamo fu vergato nel dicembre del 1930 dalla maestra Natalia Minazzi del fu Vittore e di Carlotta Rabuffetti, nata a Masnago il giorno di Natale del 1903, diplomatasi a Como e titolare della classe terza sezione mista della scuola di Valle Olona, che dobbiamo pensare preesistente alla De Amicis e locata negli spazi dell’attuale piazzale Bianchi. Nelle pagine iniziali del suo “Giornale della Classe” ci racconta, con scrittura sottile, elegante nel suo nero corvino e fortemente inclinata a destra – la grafologia vi riconoscerebbe una personalità socievole e ottimista – di avere una nuova classe “soprannumeraria” di “tipi interessantissimi”: 25 maschietti e 19 bambine.
Proprio per questo, probabilmente, e anche per la sua naturale vocazione ad essere “natalizia” fin dal nome e dal genetliaco, la maestra Natalia fece allestire loro un presepe veramente speciale: ci piace che lo conosciate attraverso le sue parole. «Il Presepio. Questo argomento, prevedo, mi terrà occupata l’intero mese. I bambini hanno espresso il desiderio di costruire da loro un presepio in terra creta. Andremo a raccogliere la creta in una cava qui vicino e poi il Frigo, il Ganna, il Ricci e alcuni altri che dimostrano maggior abilità nel lavoro della creta costruiranno le statuette. Parleremo man mano della storia di ogni singolo personaggio, poi dell’Annunzio (recitazione dell’Ave Maria) e finalmente della Nascita». A margine riportava soddisfatta con l’annotazione: «Il programma è stato svolto e il Presepio – con non poco da fare – è stato messo insieme. E’ riuscito carino e ci è spiaciuto che il signor Direttore non l’abbia visto» e concludeva con un sorriso divertito che ci sembra concretizzarsi dalle vecchie righe: «I bambini, invece della solita lettera a Gesù Bambino, hanno scritto una letterina di auguri e di immancabili promesse al babbo o alla mamma».